CITTADINI VIRTUOSI E NERI SCOREGGIONI

Non si può correttamente considerare come un discorso da parvenu, quello contenuto nell’ultima amaca di Michele Serra (V. La repubblica del 17 maggio 2015 https://triskel182.wordpress.com/2015/05/17/lamaca-del-17052015-michele-serra/ ), poiché è parte di una prassi abbastanza diffusa, anzi direi prevalente, di adesione ai cosiddetti valori dominanti.

pulizie milano

L’elogio, con richiesta di medaglia al valore, per la ripulitura dei muri imbrattati della Milano post manifestazione anti expo, non è l’atto di un nuovo arrivato nella scalata sociale, pronto a mettersi in mostra per ostentare un fortunoso arricchimento (probabilmente il soggetto in questione, pur non rivendicando maggiori emolumenti per se, dall’alto del suo superiore capitale culturale, giudica iniqua la sua remunerazione). Non è neanche la riflessione di un nuovo arrivato mentre si fa carico dei valori d’ordine delle vecchie classi borghesi (rappresentate da quell’odiatissimo Berlusconi e da quei triviali ricconi, pieni di soldi, ma moralmente e culturalmente inferiori rispetto ai suoi pari).

no expo

 

Esso è nello stesso tempo una riconferma della presa di distanza rispetto alla rumorosa scoreggia in pubblico fatta dai black bloc, espressione di gruppi sociali destinati alla sconfitta (con i quali il nostro non pensa di aver a che fare)  e la ripetizione ossessiva del vecchio disegno “sinistrorso”.  In esso sono previsti castigati contestatori criticare provvedimenti o pratiche del ceto politico e gli elzeviristi di professione pontificare giudicando questo o quell’aspetto della questione, il tutto finalizzato alla costituzione di una rappresentazione sociale della realtà capace di rafforzare il capitale simbolico della comunità dei gauchisti nostrani.

L’aspetto tragicomico dell’amaca in questione è che l’invito a prendersi cura gratuitamente delle cose della città in un contesto come quello dei postumi di una manifestazione, oltre a ricordare la cura per l’arredo del G8 di Genova che ossessionava, in quei lontani anni, i pensieri del Cavaliere, non tiene proprio conto di uno dei più comprensibili oggetti di contestazione di quella manifestazione. Il noto elzevirista de La Repubblica non ha minimente riflettuto sul fatto che la rabbia sociale per salari da fame si infiamma in modo esplosivo quando l’invito a prestazioni gratuite si fa sempre più pressante e sta diventando pratica sempre più diffusa ed opportunisticamente programmata. Queste sperticate lodi per il civile comportamento dei cittadini milanesi, contrapposto alla rozza e fracassona asocialità dei neri, trascurando la realtà di super sfruttamento oggi incombente e la protervia di chi non dissimula neanche un po’ le proprie posizioni nelle quali il potere si condisce con privilegi e ruberie più o meno legalizzate, sono senza dubbio parte di un discorso dominante. Questo discorso che pone i riflettori esclusivamente sulle differenze di comportamento agisce come tentativo, neanche tanto dissimulato di naturalizzare la differente “cultura” dei diversi attori e surrettiziamente di glorificare il lavoro “disinteressato” dei buoni cittadini. In questo modo viene definita la correttezza e virtuosità della prassi attesa e sanzionata come deleteria quella antagonista e soprattutto rafforzato il consenso intorno ad una realtà fortemente violenta, classista e dominata da ogni tipo di prevaricazione, ma che è assai prodiga di considerazione per chi, come il nostro amico (si fa per dire), difende con i denti del politicamente corretto il proprio capitale simbolico.

FREE-LANCE E SPIGOLATRICI DI OLIVE

Le spigolatrici - Jean- Francoise Millet

Le spigolatrici – Jean- Francoise Millet

 La spigolatrice di Sapri

di Luigi Mercantini,

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

Me ne andavo al mattino a spigolare,
quando ho visto una barca in mezzo al mare:
era una barca che andava a vapore;
e alzava una bandiera tricolore;
all’isola di Ponza s’è fermata,
è stata un poco e poi si è ritornata;
s’è ritornata ed è venuta a terra;
sceser con l’armi, e a noi non fecer guerra.

Sceser con l’armi, e a noi non fecer guerra,
ma s’inchinaron per baciar la terra,
ad uno ad uno li guardai nel viso;
tutti aveano una lagrima e un sorriso.
Li disser ladri usciti dalle tane,
ma non portaron via nemmeno un pane;
e li sentii mandare un solo grido:
«Siam venuti a morir pel nostro lido».

Con gli occhi azzurri e coi capelli d’oro
un giovin camminava innanzi a loro.
Mi feci ardita, e, presol per la mano,
gli chiesi: «Dove vai, bel capitano?»
Guardommi e mi rispose: «O mia sorella,
vado a morir per la mia patria bella».
Io mi sentii tremare tutto il core,
né potei dirgli: «V’aiuti ‘l Signore!»

Quel giorno mi scordai di spigolare,
e dietro a loro mi misi ad andare.
Due volte si scontrar con li gendarmi,
e l’una e l’altra li spogliar dell’armi;
ma quando fur della Certosa ai muri,
s’udirono a suonar trombe e tamburi;
e tra ‘l fumo e gli spari e le scintille
piombaro loro addosso più di mille.

Eran trecento, e non voller fuggire;
parean tremila e vollero morire;
ma vollero morir col ferro in mano,
e avanti a lor correa sangue il piano:
fin che pugnar vid’io per lor pregai;
ma un tratto venni men, né più guardai;
io non vedeva più fra mezzo a loro
quegli occhi azzurri e quei capelli d’oro.

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

Carissimo Mauro,

ti ringrazio per la segnalazione; il video http://www.youtube.com/watch?v=vt84TasNLkYè veramente accattivante, sia nel suo significato derivato e sia in quello primitivo.

Pur provando, come te, fastidio per “l’andazzo…. di non voler pagare chi … svolge un lavoro….” non condivido, come avrai notato, la “situazione” che tu hai aggiunto relativamente alla periodizzazione storica in questi anni ed  agli attributi “giovane” e “intellettuale(creativo o simili)” .

Questo mio disaccordo, parziale, non è ovviamente volto a negare evidenze, ma vuole semplicemente sottolineare che:

  1. Tale andazzo, essendo connesso a relazioni capitalistiche, o per dirla marxianamente a rapporti capitalistici di produzione, riguarda un’ampia area spazio-temporale dei rapporti di lavoro. I nostri antenati, quando vendevano le olive non ricevevano una ricompensa commisurata al “valore” del lavoro in esse contenuto, ma, nelle migliori occasioni, ricavavano di che sopravvivere, per consentire ai mercanti d’olio di garantirsi profitti ogni anno. Questo non vuol dire che le situazioni siano totalmente identiche, so anch’io che oggi ci sono in giro pratiche “disoneste” volte a svalutare il contributo lavorativo, ma se ribadiamo che non  siamo di fronte a fenomeni di “italica arretratezza”, ma più semplicemente ad un sistema capitalistico sempre molto rapace, qualche passo in più, almeno nella comprensione, lo possiamo fare. Marx non aveva previsto tutto questo, ma metterlo in soffitta senza salvare quanto di buono aveva scritto, ci porta a rimanere a bocca aperta e amara.
  2. Come si vede dalla cronaca sociale di questi giorni, a fronte di una vastissima area di giovani disoccupati, sottoccupati ed inattivi, la schiera di persone più anziane che si trova nelle medesime condizioni si sta sempre più ingrossando. Tali fenomeni avvengono, soprattutto in un contesto di globalizzazione che vede legioni di “lavoratori internazionali” spostarsi di terra in terra per offrire le proprie braccia. Queste constatazioni non vogliono negare evidenze empiriche e tanto meno addivenire ad una guerra tra poveri, ma vogliono semplicemente porre l’accento sul fatto che gli steccati generazionali sono più consoni a logiche di “politica sociale” dei governi che a pratiche di lotta di classe. Come hai potuto osservare non c’è programma di partito (a modo loro, lo presentano soprattutto quelli di destra) che non si ponga l’obbiettivo di “attuare programmi d’avvio al lavoro delle giovani generazioni” e non c’è dibattito che non veda accanite discussioni sulla migliore ricetta da applicare. Andando a ritroso nel tempo, queste espressioni, a cicli periodici sono state rilanciate in tutte le campagne elettorali e non hanno fatto altro che contribuire a “celebrare” le più recenti sconfitte del movimento dei lavoratori.
  3. E’ molto difficile sostenere, oggi (qui il situare gli attori è necessario ed è da sottolineare) che il lavoratore intellettuale non riesca ad avere la giusta mercede, basta intendersi sui concetti e su come avviene questa situazione. “L’intellettuale creativo e/o no” che ha costituito il programma con cui ti scrivo e “gli intellettuali creativi e/o no” che ci forniscono strumenti con cui possiamo dialogare a distanza, affiancano gli altri “intellettuali creativi e/o no” che ci sottopongono le loro creazioni, sembra che se la passino egregiamente. Essi non solo sono profumatamente remunerati, ma costituiscono quella famosa e “fumosa” (nel senso che in buona parte se ne stanno tranquillamente nascosti a guardare i nostri osanna) classe dominante che regola gran parte delle sfere della nostra vita. Il termine free-lance (lancia libera, mercenario) è stato impiegato per definire alcune occupazioni che vedevano l’emergere di figure professionali del giornalismo, della moda, della pubblicità o dello spettacolo, senza vincoli di esclusività, ma anche con l’assenza dei diritti sindacali goduti dal resto degli addetti del settore (io sono stato un freelance per molto tempo). Con la crescente precarizzazione delle occupazioni, il numero dei free-lance è cresciuto a dismisura ed ha riguardato nuovi settori; si potrebbe dire che oggi siamo tutti un po’ free-lance se non fosse che non è vero. Sopra alla moltitudine dei free-lance nel giornalismo ci sono un bel numero di specialisti della comunicazione che sanno come farsi remunerare le loro creazioni: nel 2005 Ezio Mauro, Direttore de “La Repubblica” ha percepito un reddito lordo di 463.695 euro, Marco Travaglio 282.280 euro,  Vittorio Feltri 589.726 euro. http://temis.blog.tiscali.it/2008/05/01/ecco_quanto_guadagnano_i_vip_italiani__dalla_a_alla_z__1887983-shtml/) Ammirati ed invidiati da molti free-lance dello spettacolo vi sono indiscussi “professionisti” dello spettacolo che, raccomandando agli altri di fare la gavetta, percepiscono sontuose prebende: il sinistrorso Fabio Fazio per il periodo 2014/2017 percepirà 5,4 milioni di euro lordi, mentre la comica e moralista Luciana Littizzetto nel 2005 ha percepito 1.824.084 euro lordi e Antonella Clerici 1.205.604 euro lordi http://www.asiablog.it/2008/05/07/dichiarazione-dei-redditi-degli-italiani-online-giusto-o-sbagliato/ .

Ora come puoi ben immaginare la cosa non è semplicemente un “andazzo … legato ad un atteggiamento diffuso… pregiudizievole nei confronti dei lavoratori intellettuali (come se quelli che fanno lavori manuali conoscessero solo la fatica di contar soldi). Purtroppo la cosa è collegata all’incapacità degli attori coinvolti in queste pratiche di contestare fattivamente tale sistema di rapporti sociali (io ne so qualcosa) e la denuncia degli autori del video testimonia la debolezza rivendicativa degli stessi. A mio avviso, perciò quei giovani fanno bene a ribellarsi, con l’arma dell’ironia, se il loro intendimento è volto a smascherare i rapporti di dominio sottostanti e se il percorso intrapreso vede in prospettiva la costituzione di un forte movimento di contestazione. So benissimo, per esperienza personale, che tutto ciò è assai difficile tanto più che una buona parte di costoro vive il proprio isolamento più come il portato di una debolezza individuale e personale che come il frutto di una logica individualizzante che nasconde rapporti di potere. So benissimo, per esperienza personale, che parlare di sindacalizzazione in questi contesti si scontra con l’inadeguatezza di ricette tradizionali e con l’ambiguità di forme fortemente corporative che imperversano in quegli ambienti. So benissimo, per una probabile mia esperienza personale, che anche mia figlia si dovrà misurare con tali problematiche senza poter contare sulle mie vittorie rivoluzionarie. Ma so anche che quanto più lei ed i suoi compagni punteranno ad evidenziare specificità e meriti legati alla proprietà del sapere, tanto più facili e sicure saranno le loro sconfitte. Al contrario, quanto più in fretta realizzeranno che anche nella costituzione delle loro competenze è possibile un’azione di decostruzione di logiche di dominio (le lotte contro i baroni universitari sono miseramente naufragate sull’altare della meritocrazia) e che tali conflitti dovranno mettere in discussione la legittimità dell’arbitrio culturale che contribuisce alla riproduzione della struttura della distribuzione del capitale culturale tra le classi e, suo tramite, alla riproduzione dei rapporti di classe esistenti, tanto più facile sarà la realizzazione di una società meno iniqua e meno ingiusta nella remunerazione dei lavori.

INGORGHI E PRESEPI

cupiello 1

8 gennaio 2014

Di ingorghi, per uno che si fa chiamar “gorghi” ce ne sono di diversi tipi: c’è quello stradale, quello venoso, quello istituzionale, quello linfatico e quello intellettuale, ma oggi quello che più  ha interessato gli ambienti politici e della cosiddetta: “opinione pubblica”  è quello umanitario  intorno al capezzale di Pierluigi Bersani. http://www.huffingtonpost.it/cerca?q=ingorgo+umanitario&s_it=aolit-huffpo-htV1

Nelle ore immediatamente successive al ricovero in ospedale dell’ex segretario del PD  i  commentatori politici si sono prodigati, in buona parte ad ingorgare le agenzie d’informazione per tentare di rimarcare una cornice di fair play all’interno dell’ambiente politico – istituzionale. L’azione, che, probabilmente come gran parte delle altre, era tesa a rimanere esclusiva del castello, avrebbe dovuto sondare la disponibilità di gran parte degli attori del sistema, ma posti su diversi fronti (berlusconiani e grillini, per intendersi) ad un minimo di dialogo deontologicamente garbato. La cosa sembrava riuscire, il noto “vafanculista” Grillo, avendo tempestivamente aderito all’iniziativa, aveva scatenato  la pioggia di messaggi di augurio per l’illustre paziente. Sfortunatamente il meccanismo ha trovato un intoppo esterno che ha rischiato di oscurare l’auspicato ingorgo. Alcuni villanzoni, probabilmente parenti di Tommasino Cupiello, quello che non amava il presepe del padre (V. in una delle più divertenti scene http://www.youtube.com/watch?v=Af-u48lEc8w ) hanno cominciato a sfogarsi ed ingorgare il web di insulti

cupiello 2

ed auspici avversi al neo paziente, proprio come il loro illustre predecessore nella succitata scena. Immediata la reazione dei maîtres à penser di casa nostra si è scatenata in un ingorgo di riprovazioni per i discoli iettatori, e proprio come lo zio del bamboccione eduardiano hanno tentato qualche rimedio. Sulla sua quotidiana “amaca” de La Repubblica il noto paladino del ceto medio di sinistra Michele Serra, con un breve articoletto http://www.vip.it/michele-serra-lamaca-del-7-gennaio-2014/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=michele-serra-lamaca-del-7-gennaio-2014 redarguiva i beceri scrivani tacciandoli di incontinenza meteorica ed immancabilmente di allergia alle buone pratiche culturali, ricordandoci che uno come Bourdieu avrebbe fatto una vita grama con questi difensori della concezione carismatica ed elitaria della cultura – fattore di distinzione.

In mattinata l’intera trasmissione radiofonica “Tutta la città ne parla” di Radio3 della RAI http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-14d05015-ede3-453b-aa64-f2862404612a.html  è stata dedicata alla scostumatezza del “popolo lasciato libero di pensare e, soprattutto di agire” di fronte ai microfoni e soprattutto attraverso il web.  A prescindere dalle generiche  e scontate conclusioni di una argomentazione che si è scagliata contro: la maleducazione, l’ignoranza e la villania, il dipanarsi dei dialoghi non ha potuto altro che mostrare l’affanno dei protagonisti nei confronti delle pratiche culturali contemporanee. Speriamo che lo sforzo abbia accontentato le intenzioni autoassolutorie ed autoincensatorie di attori sempre più isolati nel sostenere che “è bello o presepe”. Non vorremmo doverlo apprezzare per forza.

Grande confusione sul fronte Occidentale

soldato-decapitato-LondraÈ sabato, uno stanco e freddo sabato di spesa, finalmente posso dedicare una mezz’ora del mio tempo alla lettura del mio “vecchio” giornale e, magari dormicchiare sopra l’ennesima diatriba tra la destra e la sinistra o tra la sinistra e chi sta più a sinistra. Risalgo sulla macchina e, sfidando il freddo di questo maggio inconsueto, apro il finestrino per poi accomodarmi all’agognata lettura. Purtroppo i miei propositi devono immediatamente fare i conti con due uomini che, accampati sulla panchina posta a pochi metri stanno litigando in un crescendo di voci. Con uno sforzo cerco di isolarmi e scartato l’ennesimo articolo contro l’acerrimo Berlusconi, gli occhi mi cadono, purtroppo, sull’editoriale del direttore. Non sono passati che pochi secondi e capisco che i miei progetti si sono infranti con quanto mi sta accadendo intorno; le parole dei due uomini sono inframmezzate da imprecazioni e bestemmie ed i toni sono sempre più accesi, mentre l’editoriale (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/05/24/il-fronte-occidentale.html ) mi riporta agli occhi la macabra uccisione di un soldato inglese. L’articolo è scritto con il solito piacevole stile perciò la fatica ad isolarmi dalla lite sanremese non è poi così pesante, anche perché i rumori di una città in pieno centro, che si affanna ad organizzare la pausa pranzo ed il resto del fine settimana, coprono in parte le loro voci. Ezio Mauro nella prima parte, infatti, racconta molto bene, come in un film, la scena truculenta ed il contesto di vita quotidiana di quel luogo (“si mettono in coda, secondo le semplici regole che ci diamo vivendo, per scambiarci garanzie reciproche mentre usciamo di casa, portiamo i nostri figli all’asilo, riuniamo i nostri parlamenti, preghiamo e ragioniamo da soli” (cit)) proprio per farci capire che la minaccia del giovane inglese che ha appena decapitato un suo connazionale “Non sarete mai al sicuro” è rivolta a noi tutti che viviamo nel cosiddetto “Occidente”. Questa maledizione, che ci invia il giovane, giunge tramite immagini riprese da una donna con il proprio telefonino a sua volta ritrasmesse dalle varie TV e sembra riproporre il tema lanciato da Huntington dello scontro di civiltà. Gli ingredienti sembrano esserci tutti  o quasi: l’ineviquovocabile origine africana degli attentatori, il tradimento della religione  cristiana in favore di quella musulmana come segno dell’incapacità di dialogo tra gruppi culturali differenti e lo spavaldo comportamento rivendicativo del soggetto. Mauro si sforza tuttavia di evitare le secche di un tema come quello sollevato da Huntington e, provando un parallelo con il suicidio clamoroso di Dominique Venner all’interno della cattedrale di Notre Dame di Parigi, giunge a riproporre la necessità di un rinnovamento della politica “come strumento della democrazia: e pretendere che funzioni, cambiando finalmente se stessa e tornando a rappresentarci.”

 Mentre rifletto sul tentativo del direttore di andare oltre “l’incubo del tramonto dell’Occidente” e ne constato il suo fallimento, mi devo rendere conto che le mie ambizioni di vivere alcuni minuti di quiete stanno per tramontare. Le voci che avevo voluto trascurare e lasciar sfogare sono diventate ancora più fastidiose e soprattutto realizzo che uno dei due sta inveendo minacciosamente contro un terzo individuo che cammina allontanandosi in tutta fretta. “Non ti far più vedere da queste parti, porco …!” urla con voce forte, ma roca e un po’ stridula, uno dei due uomini acquartierati sulla panchina. Non ci metto molto a capire che i chiacchieroni di poc’anzi sono i due non troppo giovani che passano un bel po’ del proprio tempo proprio in quel luogo e, ogni tanto, allungano distrattamente la mano in cerca di qualche moneta. Fanno parte di quello spazio di vita quotidiana ed il loro stile garbato e poco incline a rappresentazioni ultra pietistiche si è tradotto in un tacito accordo con i commercianti del posto: non infastidiamo i vostri clienti di passaggio, ma voi  una mano ce la date. Il gioco purtroppo ogni tanto viene bruscamente interrotto,  poiché  giunge un terzo e magari un quarto povero cristo che, ignaro degli accordi locali, con fare insistente avvicina i passanti in cerca d’elemosina. Anche in questo caso il malcapitato messo in fuga, essendo straniero (è di colore e non parla italiano)non conoscendo  la prassi del posto viene rampognato dal collega, il quale, benché  un po’ alterato per qualche sorso in più di “nostralino”, “urla a suocera, perché nuora intenda”; uno dei suoi compiti è proprio questo: tenere alla larga i questuanti più fastidiosi o quanto meno fare intendere ai commercianti del luogo che il lavoro è fatto a modino. 

Terminata l’interruzione ritorno alle mie letture ed una serie d’interrogativi mi frullano immediatamente in testa:

  • Continuiamo a chiederci se c’è differenza tra la destra e la sinistra, ma gli argomenti del “nostro direttore” in che cosa si distanziano da quelle di Huntington?
  • In particolare il chiaro e continuo riferimento ad un concetto d’Occidente poco chiaro, oltre ad essere più consono ad un’ottica neo imperialista, non è di fatto un cedimento nei confronti di teorie più marcatamente xenofobe?
  • L’episodio sanremese, nella sua banalità non ci suggerisce che il “canone occidentale” (idem), ossia quel “normale paesaggio della democrazia nelle nostre periferie” (idem) è una rappresentazione che ci diamo e con cui indulgiamo a leggere la realtà, salvo poi rimanere senza parole quando questa si presenta più contraddittoria ed affiorano comportamenti che definiamo devianti o addirittura terroristici?
  • Perché anche di fronte ad un gesto così atroce e spaventoso, la massima espressione “dell’industria mass mediale” anziché prendere in considerazione la denuncia dell’omicida (le sevizie di donne e uomini nei “normali paesaggi delle non democrazie delle loro periferie), continua a guardare l’ombelico di una democrazia in declino presa d’assedio da forze nemiche delle quali non conosce niente?   È sabato, uno stanco e freddo sabato di spesa, finalmente posso dedicare una mezz’ora del mio tempo alla lettura del mio “vecchio” giornale e, magari dormicchiare sopra l’ennesima diatriba tra la destra e la sinistra o tra la sinistra e chi sta più a sinistra. Risalgo sulla macchina e, sfidando il freddo di questo maggio inconsueto, apro il finestrino per poi accomodarmi all’agognata lettura. Purtroppo i miei propositi devono immediatamente fare i conti con due uomini che, accampati sulla panchina posta a pochi metri stanno litigando in un crescendo di voci. Con uno sforzo cerco di isolarmi e scartato l’ennesimo articolo contro l’acerrimo Berlusconi, gli occhi mi cadono, purtroppo, sull’editoriale del direttore. Non sono passati che pochi secondi e capisco che i miei progetti si sono infranti con quanto mi sta accadendo intorno; le parole dei due uomini sono inframmezzate da imprecazioni e bestemmie ed i toni sono sempre più accesi, mentre l’editoriale (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/05/24/il-fronte-occidentale.html ) mi riporta agli occhi la macabra uccisione di un soldato inglese. L’articolo è scritto con il solito piacevole stile perciò la fatica ad isolarmi dalla lite sanremese non è poi così pesante, anche perché i rumori di una città in pieno centro, che si affanna ad organizzare la pausa pranzo ed il resto del fine settimana, coprono in parte le loro voci. Ezio Mauro nella prima parte, infatti, racconta molto bene, come in un film, la scena truculenta ed il contesto di vita quotidiana di quel luogo (“si mettono in coda, secondo le semplici regole che ci diamo vivendo, per scambiarci garanzie reciproche mentre usciamo di casa, portiamo i nostri figli all’asilo, riuniamo i nostri parlamenti, preghiamo e ragioniamo da soli” (cit)) proprio per farci capire che la minaccia del giovane inglese che ha appena decapitato un suo connazionale “Non sarete mai al sicuro” è rivolta a noi tutti che viviamo nel cosiddetto “Occidente”. Questa maledizione, che ci invia il giovane, giunge tramite immagini riprese da una donna con il proprio telefonino a sua volta ritrasmesse dalle varie TV e sembra riproporre il tema lanciato da Huntington dello scontro di civiltà. Gli ingredienti sembrano esserci tutti  o quasi: l’ineviquovocabile origine africana degli attentatori, il tradimento della religione  cristiana in favore di quella musulmana come segno dell’incapacità di dialogo tra gruppi culturali differenti e lo spavaldo comportamento rivendicativo del soggetto. Mauro si sforza tuttavia di evitare le secche di un tema come quello sollevato da Huntington e, provando un parallelo con il suicidio clamoroso di Dominique Venner all’interno della cattedrale di Notre Dame di Parigi, giunge a riproporre la necessità di un rinnovamento della politica “come strumento della democrazia: e pretendere che funzioni, cambiando finalmente se stessa e tornando a rappresentarci.”

     Mentre rifletto sul tentativo del direttore di andare oltre “l’incubo del tramonto dell’Occidente” e ne constato il suo fallimento, mi devo rendere conto che le mie ambizioni di vivere alcuni minuti di quiete stanno per tramontare. Le voci che avevo voluto trascurare e lasciar sfogare sono diventate ancora più fastidiose e soprattutto realizzo che uno dei due sta inveendo minacciosamente contro un terzo individuo che cammina allontanandosi in tutta fretta. “Non ti far più vedere da queste parti, porco …!” urla con voce forte, ma roca e un po’ stridula, uno dei due uomini acquartierati sulla panchina. Non ci metto molto a capire che i chiacchieroni di poc’anzi sono i due non troppo giovani che passano un bel po’ del proprio tempo proprio in quel luogo e, ogni tanto, allungano distrattamente la mano in cerca di qualche moneta. Fanno parte di quello spazio di vita quotidiana ed il loro stile garbato e poco incline a rappresentazioni ultra pietistiche si è tradotto in un tacito accordo con i commercianti del posto: non infastidiamo i vostri clienti di passaggio, ma voi  una mano ce la date. Il gioco purtroppo ogni tanto viene bruscamente interrotto,  poiché  giunge un terzo e magari un quarto povero cristo che, ignaro degli accordi locali, con fare insistente avvicina i passanti in cerca d’elemosina. Anche in questo caso il malcapitato messo in fuga, essendo straniero (è di colore e non parla italiano)non conoscendo  la prassi del posto viene rampognato dal collega, il quale, benché  un po’ alterato per qualche sorso in più di “nostralino”, “urla a suocera, perché nuora intenda”; uno dei suoi compiti è proprio questo: tenere alla larga i questuanti più fastidiosi o quanto meno fare intendere ai commercianti del luogo che il lavoro è fatto a modino. 

    Terminata l’interruzione ritorno alle mie letture ed una serie d’interrogativi mi frullano immediatamente in testa:

    • Continuiamo a chiederci se c’è differenza tra la destra e la sinistra, ma gli argomenti del “nostro direttore” in che cosa si distanziano da quelle di Huntington?
    • In particolare il chiaro e continuo riferimento ad un concetto d’Occidente poco chiaro, oltre ad essere più consono ad un’ottica neo imperialista, non è di fatto un cedimento nei confronti di teorie più marcatamente xenofobe?
    • L’episodio sanremese, nella sua banalità non ci suggerisce che il “canone occidentale” (idem), ossia quel “normale paesaggio della democrazia nelle nostre periferie” (idem) è una rappresentazione che ci diamo e con cui indulgiamo a leggere la realtà, salvo poi rimanere senza parole quando questa si presenta più contraddittoria ed affiorano comportamenti che definiamo devianti o addirittura terroristici?
    • Perché anche di fronte ad un gesto così atroce e spaventoso, la massima espressione “dell’industria mass mediale” anziché prendere in considerazione la denuncia dell’omicida (le sevizie di donne e uomini nei “normali paesaggi delle non democrazie delle loro periferie), continua a guardare l’ombelico di una democrazia in declino presa d’assedio da forze nemiche delle quali non conosce niente?   

Saviano, Mentana, i bulli e Twitter

chi tocca muoreNell’ articolo odierno di Saviano su Repubblica (http://www.repubblica.it/politica/2013/05/11/news/diritto_social_network-58533282/) si assiste ad una nuova puntata della questione “come regolamentare l’attività dei social network”. Casualmente, ma non proprio, nella pagina precedente Giovanni Valentini, con http://www.zeroviolenzadonne.it/rassegna/pdfs/11May2013/11May2013be9e1971f5f5ccec287c3eb344c141f2.pdf  affronta lo stesso tema. Non cito le puntate precedenti perché non sono in grado di rintracciarle tutte, ma sento, a naso, che qualcosa sta bollendo. Se fior fiore di liberal  come costoro stanno parlando di regolamentare internet, la cosa si fa seria. C’è da stare preoccupati!!

La vastità del tema, tuttavia mi suggerisce di limitare quest’intervento ad un particolare risvolto della questione. L’esigenza di regolamentazione di quella realtà, ormai amichevolmente chiamata  “rete”, avvertita da personaggi normalmente rintracciabili su altri mass media è un buon punto d’avvio per un’analisi dello scritto di Saviano. Egli nel suo articolo, citando i linguisti Sapir e Whorf, suggerisce l’ipotesi che poiché  i commenti biliosi degli utenti di Facebook e Twitter portano solo bile e veleno nelle vite di chi scrive e di chi legge, (Saviano, cit) il rischio di un’entropia del linguaggio (idem)contagi anche la comunicazione politica (idem) è assai forte. Per tale motivo egli suggerisce, da buon liberal, non la repressione, ma la marginalizzazione di chi si nutre “come un parassita  –  della fama degli altri” (idem). Senza, probabilmente volere, Saviano, con le ultime parole del suo articolo ci dona la chiave per aprire questa controversia. Io non sono un gran frequentatore di Twitter, e soprattutto mi guardo bene dal favorire ipertrofie egoiche dei personaggi famosi, anche perché l’idea di seguire pensieri sintetici di divi televisivi mi irrita il nervo vago e mi provoca antipatici fastidi. Tuttavia, per quel poco che ho potuto capire,  da alcune mie brevi frequentazioni, quel social media sembra essere particolarmente amato  dalle persone dotate di quell’attributo tanto ambito: la fama. Il direttore del TG La 7  Enrico Mentana nel ribadire, proprio stasera, di aver abbandonato Twitter, ci ha ricordato di avere raggiunto i 350.000 seguaci. Probabilmente, se il fatto non è ancora avvenuto, fra qualche tempo il numero dei followers  costituirà fattore di rilievo per definire curriculum vitae, posizioni remunerative e di carriera nonchè status delle figure professionali più ambite In ogni caso questi fenomeni suggeriscono alcune ipotesi su cui sarebbe opportuno avviare attività di ricerca.

  1. All’interno della vastissima area costituita dai tweetters, ha trovato spazio una più ristretta cerchia di personaggi che, partendo dai tradizionali mass media, è riuscita a rendere più concreta e misurabile la propria popolarità; la cristallizzazione del successo e la popolarità sono oggi più “reali”, paradossalmente proprio grazie all’avvento del regno del virtuale.
  2. Il sistema d’azione che si costituisce all’interno di questo specifico segmento di Twitter, vede la presenza di attori con aspettative e ruoli formali diversi: da una parte c’è l’opinion leader che elargisce pillole di saggezza, dall’altra una massa più o meno cospicua di seguaci abilitati soprattutto a favorire il consenso intorno alle posizioni del loro amato account. Tutto ciò avviene in un ambiente socio-tecnico del tutto nuovo, ma con intenzioni e strategie nate altrove.
  3. Tra gli elementi tecnici alcuni fatti come: la possibilità dell’anonimato, la limitazione del numero delle parole e la destrutturazione del tempo e dello spazio minano le fondamenta della rappresentazione presentata al punto precedente, perciò fatti imprevisti come retweet e post  molesti, magari carichi di insulti e minacce rendono irrespirabile l’aria della rete.
  4. Di fronte a questa realtà Saviano avrebbe avuto l’occasione di rendersi conto che la rappresentazione ideologica della nuova istituzione sociale Tweetter non è in grado di funzionare, egli avrebbe potuto comprendere che la realtà è molto più complessa e che tra i possibili malfattori potrebbe nascondersi un sottoccupato metropolitano che comodamente a casa propria, magari dopo una giornata frustrante sfoga la propria rabbia o una casalinga annoiata, ma incavolata col marito, oppure un professionista tronfio per i propri successi, ma disgustato per le recite in cui è coinvolto. Ma soprattutto avrebbe avuto l’opportunità di verificare la limitatezza dell’ipotesi deterministica di Sapir, ripresa poi da Whorf (che qualcuno ha scambiato per l’ultima scoperta della scienza americana). Il linguaggio in questo contesto è una pratica sociale interpretata da attori che plasticamente rivestono ruoli in situazioni determinate e che si muovonoi in funzione del grado di libertà che le opportunità consentono. Il Tweetter che oggi è praticato esprime opportunità di autocelebrazione per alcuni e sfoghi per altri, il tutto in un gioco delle parti che difficilmente può essere messo in discussione, per questo pensare che quel social network sia cosa nostra è assai velleitario.

 

Attiviste di Femen

Alla terza riproduzione del filmato riguardante la contestazione di Berlusconi, da parte di attiviste Femmen (quello del sito della Repubblica  http://video.repubblica.it/dossier/elezioni-politiche-2013/elezioni-2013-berlusconi-contestato-da-attiviste-di-femen-in-topless/120487/118970), e quindi sbollita la rabbia per immagini così volgari, mi viene spontaneo guardare il comportamento di alcuni attori.

Considerando mister B. un destinatario mancato della contestazione (un obiettivo le ragazze lo hanno centrato, mister B. scompare subito dalla scena senza aver mostrato cerone, dentatura e finta capigliatura) lo spettacolo vede solo tre soggetti agenti: le ragazze, i militi della forza dell’ordine del cosiddetto Stato Democratico Italiano ed il pubblico. Le prime riescono parzialmente nel loro intento poiché soverchiate dalle democratiche misure dei secondi,  riescono  solo ad urlare contro Berlusconi ed a deviare l’attenzione. I militari con zelante e energica iniziativa non tengono in nessun conto di quel bistrattato valore che vede gli uomini ( e donne) tutti uguali e,  con prontezza necessaria in molte altre circostanza, ripiombano indietro di più di cento anni atterrando le giovani inermi.

Il terzo attore è quello più interessante da osservare: senza pensare lontanamente a difendere le ragazze e, con loro quei valori che sostengono essere scritti nella Santa carta costituzionale, la buttano in politica gridando slogan contro Mister B. Capisco la brutalità minacciosa degli agenti, ma il dubbio che la situazione sia stata giudicata “normale”, “scontata” mi rimane. Anche l’articolo di Elena Rosselli su “Il fatto quotidiano” (che condivido in buona parte), rimandando a provvedimenti  di un futuro governo democratico, riafferma la logica della delega che di botte ne ha salvato poche. Dobbiamo avere il coraggio di dire che la reazione che ci si aspettava, anche da quei giornalisti e fotografi, era quella di bloccare gli agenti e di farli scusare con le ragazze per aver perpetrato l’unica vera azione violenta. I tutori dell’ordine repubblicano hanno reagito così violentemente e prontamente perchè sapevano che la loro azione non solo non poteva trovare argini altrettanto violenti, ma anche perchè si sentivano “naturalmente” legittimati ad agire. Se le persone del pubblico avessero reagito con altrettanta violenza nei confronti dei poliziotti quanti le avrebbero difese?

IL PROFESSORE CHE SI FA QUESTURINO STA CERCANDO UN NUOVO PINELLI?

Sono passate pochissime ore dall’orrenda strage di Brindisi, che, pur non contando, per ora, i tradizionali numeri di vittime, atterrisce i giovani di quei luoghi e i meno giovani di tutta Italia, perché il pensiero corre subito all’indietro alle stragi mafiose ed a quelle “di stato” fino al 1969. Non si sono ancora asciugate le macchie di sangue delle ragazze colpite e le lacrime di chi le sta piangendo e più di un furbacchione comincia a riprovare percorsi vecchi, non sempre sventati.

Sono passati pochi giorni dalla rivendicazione della Federazione Anarchica Informale del ferimento di Roberto Adinolfi, dirigente dell’Ansaldo, che il Galli (Carlo) ha già cantato due volte. Se con l’articolo “Chi è l’anarchico che spara in strada” (La Repubblica del 17 maggio 2012) il professore di Storia delle dottrine politiche, liquida la storia del movimento anarchico ed attribuisce allo stesso un “universo … settario, chiuso in sé; (ch)e vede in ogni avversario un simbolo – il simbolo del Male, del Potere – ; questo è il motivo della più grande contraddizione di questo movimento” (ibidem)  per dar conto di un atto così lontano dalla logica politica, con “BOMBA” (La Repubblica.it apparso il 19 maggio 2012), il medesimo ci riprova. Anche in quest’ultimo articolo il nostro studioso della politica, affascinato, sia pur negativamente, da una recrudescenza di questa parola, si sente in dovere di mettere in mezzo l’anarchismo, capace, secondo lui solo di atti che “non intendono aprire nessuna trattativa con nessuno, e sono quindi un gesto senza fini”.

Non mi interessa fare una difesa d’ufficio del movimento anarchico, soprattutto a poche ore dall’azione terrificante, ma vedendo che gli inquirenti stanno pensando di escludere la mafia come responsabile del gesto, sospetto che vecchi e nuovi questurini ritentino la  carta anarchica per  fare un po’ di confusione e per giustificare la particolare sindrome delle élites italiane di fronte alla responsabilità. L’esimio professore nel suo ultimo lavoro “I riluttanti. Le élites italiane di fronte alla responsabilità (Laterza)”, preoccupato per la  “ricorrente dimissione di responsabilità delle élites che le sottrae al compito, loro proprio, di traghettare la società italiana da un difficile passato ad un futuro ancora indeterminato”( ROBERTO ESPOSITO – la Repubblica 18 Maggio 2012 ), può cogliere l’occasione per vedere che “nessuno tremi, e che questa bomba sia interpretata per quello che è: una sfida allo Stato, un insulto alla civile convivenza, uno sfregio mostruoso alla giovinezza innocente, un’ignobile vergognosa barbarie. E che abbia  –  umanamente, politicamente, socialmente, giudizialmente  –  la fermissima e  durissima risposta che merita”. “BOMBA” (La Repubblica.it apparso il 19 maggio 2012). Egli infatti molto attento alla circolazione delle èlites e certo che la storia è fatta dalle medesime oltre, ad essere incapace di interpretare movimenti sociali come quelli di tipo anarcosindacalista, rischia di travisare gli stessi temi che affronta e, per parlare secondo sue coordinate, offre vigore intellettuale ad una nuova destra.

Nell’attuale fase politica i nemici di Carlo Galli sono sinteticamente (molto sinteticamente, me ne scuso!) due. Il primo, il più pericoloso è ovviamente l’antipolitica, rappresentata ieri da Beppe Grillo ed oggi dagli anarchici, il secondo è la cattiva politica
espressa da quelle elites riluttanti alle quali  ha dedicato la sua ultima opera. Nella costruzione dei suoi nemici egli fiducioso nell’identità esperti – èlites  non si avvede che di fatto si sta riferendo semplicemente a figure manageriali del sistema professionale italiano. Come ricorda Alain Touraine, in sociologia “un’èlite è un gruppo di persone che favorisce e dirige il cambiamento in un determinato paese. L’èlite va però distinta dalla classe dirigente, che invece è quella che strutturalmente domina e governa un sistema politico. (Fabio Gambero, ” Chi si oppone al cambiamento, intervista  ad Alain Touraine, la Repubblica 8 ottobre 2009). Il professore non si è evidentemente reso conto che la politica si è professionalizzata e che il sistema organizzativo della gestione della cosa pubblica attraverso processi di isomorfismo organizzativo  (Meyer, J. e Rowan, B. (1977), Institutional organizations: Formal structures as myth and ceremony, in “American Journal of Sociology”, 83: 340-363) fa  ad assomigliare sempre più tra loro strutture, strategie e processi simili, per cui le tanto deprecate inefficienze dei politici sono da studiare con strumenti un po’ più aggiornati del Leviatano di Hobbes.

Questa sua incondizionata fiducia negli esperti, di cui si sente evidentemente parte, lo porta ad assumere sempre più spesso le difese di quel sistema di dominio che trova proprio nelle figure manageriali dell’innovazione culturale la classe dirigente emergente. Appare così evidente che la posizione che il nostro assume è quella di portavoce di un ideologia tecnocratica inequivocabilmente di destra.