FREE-LANCE E SPIGOLATRICI DI OLIVE

Le spigolatrici - Jean- Francoise Millet

Le spigolatrici – Jean- Francoise Millet

 La spigolatrice di Sapri

di Luigi Mercantini,

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

Me ne andavo al mattino a spigolare,
quando ho visto una barca in mezzo al mare:
era una barca che andava a vapore;
e alzava una bandiera tricolore;
all’isola di Ponza s’è fermata,
è stata un poco e poi si è ritornata;
s’è ritornata ed è venuta a terra;
sceser con l’armi, e a noi non fecer guerra.

Sceser con l’armi, e a noi non fecer guerra,
ma s’inchinaron per baciar la terra,
ad uno ad uno li guardai nel viso;
tutti aveano una lagrima e un sorriso.
Li disser ladri usciti dalle tane,
ma non portaron via nemmeno un pane;
e li sentii mandare un solo grido:
«Siam venuti a morir pel nostro lido».

Con gli occhi azzurri e coi capelli d’oro
un giovin camminava innanzi a loro.
Mi feci ardita, e, presol per la mano,
gli chiesi: «Dove vai, bel capitano?»
Guardommi e mi rispose: «O mia sorella,
vado a morir per la mia patria bella».
Io mi sentii tremare tutto il core,
né potei dirgli: «V’aiuti ‘l Signore!»

Quel giorno mi scordai di spigolare,
e dietro a loro mi misi ad andare.
Due volte si scontrar con li gendarmi,
e l’una e l’altra li spogliar dell’armi;
ma quando fur della Certosa ai muri,
s’udirono a suonar trombe e tamburi;
e tra ‘l fumo e gli spari e le scintille
piombaro loro addosso più di mille.

Eran trecento, e non voller fuggire;
parean tremila e vollero morire;
ma vollero morir col ferro in mano,
e avanti a lor correa sangue il piano:
fin che pugnar vid’io per lor pregai;
ma un tratto venni men, né più guardai;
io non vedeva più fra mezzo a loro
quegli occhi azzurri e quei capelli d’oro.

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

Carissimo Mauro,

ti ringrazio per la segnalazione; il video http://www.youtube.com/watch?v=vt84TasNLkYè veramente accattivante, sia nel suo significato derivato e sia in quello primitivo.

Pur provando, come te, fastidio per “l’andazzo…. di non voler pagare chi … svolge un lavoro….” non condivido, come avrai notato, la “situazione” che tu hai aggiunto relativamente alla periodizzazione storica in questi anni ed  agli attributi “giovane” e “intellettuale(creativo o simili)” .

Questo mio disaccordo, parziale, non è ovviamente volto a negare evidenze, ma vuole semplicemente sottolineare che:

  1. Tale andazzo, essendo connesso a relazioni capitalistiche, o per dirla marxianamente a rapporti capitalistici di produzione, riguarda un’ampia area spazio-temporale dei rapporti di lavoro. I nostri antenati, quando vendevano le olive non ricevevano una ricompensa commisurata al “valore” del lavoro in esse contenuto, ma, nelle migliori occasioni, ricavavano di che sopravvivere, per consentire ai mercanti d’olio di garantirsi profitti ogni anno. Questo non vuol dire che le situazioni siano totalmente identiche, so anch’io che oggi ci sono in giro pratiche “disoneste” volte a svalutare il contributo lavorativo, ma se ribadiamo che non  siamo di fronte a fenomeni di “italica arretratezza”, ma più semplicemente ad un sistema capitalistico sempre molto rapace, qualche passo in più, almeno nella comprensione, lo possiamo fare. Marx non aveva previsto tutto questo, ma metterlo in soffitta senza salvare quanto di buono aveva scritto, ci porta a rimanere a bocca aperta e amara.
  2. Come si vede dalla cronaca sociale di questi giorni, a fronte di una vastissima area di giovani disoccupati, sottoccupati ed inattivi, la schiera di persone più anziane che si trova nelle medesime condizioni si sta sempre più ingrossando. Tali fenomeni avvengono, soprattutto in un contesto di globalizzazione che vede legioni di “lavoratori internazionali” spostarsi di terra in terra per offrire le proprie braccia. Queste constatazioni non vogliono negare evidenze empiriche e tanto meno addivenire ad una guerra tra poveri, ma vogliono semplicemente porre l’accento sul fatto che gli steccati generazionali sono più consoni a logiche di “politica sociale” dei governi che a pratiche di lotta di classe. Come hai potuto osservare non c’è programma di partito (a modo loro, lo presentano soprattutto quelli di destra) che non si ponga l’obbiettivo di “attuare programmi d’avvio al lavoro delle giovani generazioni” e non c’è dibattito che non veda accanite discussioni sulla migliore ricetta da applicare. Andando a ritroso nel tempo, queste espressioni, a cicli periodici sono state rilanciate in tutte le campagne elettorali e non hanno fatto altro che contribuire a “celebrare” le più recenti sconfitte del movimento dei lavoratori.
  3. E’ molto difficile sostenere, oggi (qui il situare gli attori è necessario ed è da sottolineare) che il lavoratore intellettuale non riesca ad avere la giusta mercede, basta intendersi sui concetti e su come avviene questa situazione. “L’intellettuale creativo e/o no” che ha costituito il programma con cui ti scrivo e “gli intellettuali creativi e/o no” che ci forniscono strumenti con cui possiamo dialogare a distanza, affiancano gli altri “intellettuali creativi e/o no” che ci sottopongono le loro creazioni, sembra che se la passino egregiamente. Essi non solo sono profumatamente remunerati, ma costituiscono quella famosa e “fumosa” (nel senso che in buona parte se ne stanno tranquillamente nascosti a guardare i nostri osanna) classe dominante che regola gran parte delle sfere della nostra vita. Il termine free-lance (lancia libera, mercenario) è stato impiegato per definire alcune occupazioni che vedevano l’emergere di figure professionali del giornalismo, della moda, della pubblicità o dello spettacolo, senza vincoli di esclusività, ma anche con l’assenza dei diritti sindacali goduti dal resto degli addetti del settore (io sono stato un freelance per molto tempo). Con la crescente precarizzazione delle occupazioni, il numero dei free-lance è cresciuto a dismisura ed ha riguardato nuovi settori; si potrebbe dire che oggi siamo tutti un po’ free-lance se non fosse che non è vero. Sopra alla moltitudine dei free-lance nel giornalismo ci sono un bel numero di specialisti della comunicazione che sanno come farsi remunerare le loro creazioni: nel 2005 Ezio Mauro, Direttore de “La Repubblica” ha percepito un reddito lordo di 463.695 euro, Marco Travaglio 282.280 euro,  Vittorio Feltri 589.726 euro. http://temis.blog.tiscali.it/2008/05/01/ecco_quanto_guadagnano_i_vip_italiani__dalla_a_alla_z__1887983-shtml/) Ammirati ed invidiati da molti free-lance dello spettacolo vi sono indiscussi “professionisti” dello spettacolo che, raccomandando agli altri di fare la gavetta, percepiscono sontuose prebende: il sinistrorso Fabio Fazio per il periodo 2014/2017 percepirà 5,4 milioni di euro lordi, mentre la comica e moralista Luciana Littizzetto nel 2005 ha percepito 1.824.084 euro lordi e Antonella Clerici 1.205.604 euro lordi http://www.asiablog.it/2008/05/07/dichiarazione-dei-redditi-degli-italiani-online-giusto-o-sbagliato/ .

Ora come puoi ben immaginare la cosa non è semplicemente un “andazzo … legato ad un atteggiamento diffuso… pregiudizievole nei confronti dei lavoratori intellettuali (come se quelli che fanno lavori manuali conoscessero solo la fatica di contar soldi). Purtroppo la cosa è collegata all’incapacità degli attori coinvolti in queste pratiche di contestare fattivamente tale sistema di rapporti sociali (io ne so qualcosa) e la denuncia degli autori del video testimonia la debolezza rivendicativa degli stessi. A mio avviso, perciò quei giovani fanno bene a ribellarsi, con l’arma dell’ironia, se il loro intendimento è volto a smascherare i rapporti di dominio sottostanti e se il percorso intrapreso vede in prospettiva la costituzione di un forte movimento di contestazione. So benissimo, per esperienza personale, che tutto ciò è assai difficile tanto più che una buona parte di costoro vive il proprio isolamento più come il portato di una debolezza individuale e personale che come il frutto di una logica individualizzante che nasconde rapporti di potere. So benissimo, per esperienza personale, che parlare di sindacalizzazione in questi contesti si scontra con l’inadeguatezza di ricette tradizionali e con l’ambiguità di forme fortemente corporative che imperversano in quegli ambienti. So benissimo, per una probabile mia esperienza personale, che anche mia figlia si dovrà misurare con tali problematiche senza poter contare sulle mie vittorie rivoluzionarie. Ma so anche che quanto più lei ed i suoi compagni punteranno ad evidenziare specificità e meriti legati alla proprietà del sapere, tanto più facili e sicure saranno le loro sconfitte. Al contrario, quanto più in fretta realizzeranno che anche nella costituzione delle loro competenze è possibile un’azione di decostruzione di logiche di dominio (le lotte contro i baroni universitari sono miseramente naufragate sull’altare della meritocrazia) e che tali conflitti dovranno mettere in discussione la legittimità dell’arbitrio culturale che contribuisce alla riproduzione della struttura della distribuzione del capitale culturale tra le classi e, suo tramite, alla riproduzione dei rapporti di classe esistenti, tanto più facile sarà la realizzazione di una società meno iniqua e meno ingiusta nella remunerazione dei lavori.

MESSAGGIO PER GIOVANNI

260px-Situazionisti

I fondatori dell’Internazionale situazionista a Cosio di Arroscia, nell’aprile del 1957. Da sinistra a destra: Pinot Gallizio, Piero Simondo, Elena Verrone, Michèle Bernstein, Guy Debord, Asger Jorn e Walter Olmo

Carissimo Giovanni scusami se la risposta non è stata tempestiva, ma sono stato impegnato su diversi fronti, perciò, volendo essere con te il più esauriente possibile ti mando questo messaggio con un po’ di ritardo.

Guardando ai fatti di questi giorni, soprattutto quelli avvenuti il 18 dicembre, possiamo costatare che gli “organizzatissimi”  agitatori di popolo si sono dovuti misurare con forze preponderanti e, per il sollievo di molti, stanno retrocedendo leccandosi le molte ferite. Probabilmente più avanti ritorneranno alla carica, ma per ora il pericolo è scongiurato. Nonostante questi risultati la mia opinione non cambia. Per me quando un gruppo umano evidenzia e mette in discussione immediatamente i  rapporti di dominio in cui è coinvolto, merita rispetto, anche se il suo lessico e le sue considerazioni non sono passati al vaglio del polically correct. Ciò è, per me, vero tanto più se questo avviene in questa fase in cui l’accelerazione inferta dalla cosiddetta crisi sta mostrando la fine di prospettive passate (l’opzione socialdemocratica sta vacillando in Svezia, figurati qua, dove Report ha un successo proprio per le sue risibili applicazioni). Non mi voglio soffermare troppo su una protesta mezza mancata, ma ti suggerisco di considerare  che una buna parte di quei signori sta vivendo esperienze non molto diverse da quello che stanno accadendo e sono accadute a gran parte di quella che un tempo era chiamata: la classe operaia. Gli autotrasportatori, ad esempio, dopo essere stati fatti “mettere in proprio” forzatamente devono gestire cali drastici del lavoro mentre le normative appesantiscono sempre di più le condizioni di lavoro. I venditori ambulanti, visti assai incazzati nelle manifestazioni di Torino, si sono dovuti misurare con leggi europee che, liberalizzando il mercato hanno messo in discussione il loro “posto” di lavoro. Di fronte ad un così diffuso processo di  trasformazione, la cui ampiezza è testimoniata anche dal cospicuo numero di suicidi, il vedere rigurgiti neofascisti, solo perché alcuni loschi figuri si sono messi in evidenza per cavalcare la forza dirompente del movimento, è a mio avviso un errore assai grave ed è collegato alla limitatezza teorica della sinistra. Questa, avendo da tempo abbandonato il marxismo si è rifugiata in una serie di concezioni più o meno socialdemocratiche, tutte caratterizzate da iperstatalismo e legalitarismo sul piano dottrinario e da un funzionalismo permeato da uno spiccato volontarismo su quello dell’analisi. Non dovendo chiarire i primi due –ismi, mi limito a farlo per i due secondi, così evito di essere accusato di parlare astruso. Per fare ciò analizzerò, brevemente uno dei tuoi ultimi post su F.B. e la questione dello scrivere su tale social network.

1) Il 18 dicembre hai postato su facebook, per corroborare la tua tesi, l’articolo: “Per dei forconi con progettohttp://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=4431  di  Francesco Gesualdi. Questi, dopo aver criticato, a modo suo, lo scarso senso civico dei “forconi” si esercita in una ridicola contrapposizione proponendo “ due strade di fronte a noi:  quella della difesa degli interessi corporativi e quella della difesa dei valori” (Gesualdi, cit.). Quello scritto, evidenzia

  • Insensibilità ( usa l’abilità retorica per mostrare la propria superiorità etica e per escludere dal novero dei meritevoli chi  era “vilmente” in combutta col nemico).
  • Scarsa lucidità d’analisi, i due termini non solo non sono alternativi, ma hanno un punto in comune: il ruolo forte dello stato. Il corporativismo è una prassi rivendicativo riscontrabile, peraltro, anche nell’ambito del lavoro dipendente, che si afferma quando un movimento non è in grado di contestare il sistema di dominio, e ricerca, attraverso mediazioni di qualunque tipo, protezione da parte dello stato dei propri privilegi. La difesa di valori esprime invece un atteggiamento conservatore teso alla ricerca di un equilibrio del sistema (oggi minacciato dai turpi capitalisti mercantili -finanziari), che dopo aver definito un orientamento comune, persegua obiettivi di sicurezza attraverso l’interiorizzazione delle corrispondenti norme da parte dei cittadini. Con tale approccio, molto etico ed accattivante, non tenendo conto né dei rapporti sociali esistenti, che vengono reificati in ruoli sociali formalmente definiti (i dipendenti, gli autonomi, i padroni), né degli attori coinvolti, che vengono resi subalterni ad un disegno moralmente predefinito e tanto meno dell’azione repressiva svolta dagli attuali sistemi nei quali siamo inseriti, Gesualdi auspica una mobilitazione, attraverso una resipiscenza dei cittadini persi sulla cattiva strada (aspettali merlo) che sfoci in equilibri politici più avanzati.
  • Ed incrollabile fedeltà per la classica ricetta, piuttosto datata, che vede la predisposizione di una piattaforma rivendicativa (la “tripla area di sicurezza” (Gesualdi, cit.). ), utile per essere sottoposta alla “discussione politica” e soprattutto per essere utilizzata come base per la costituzione dell’ennesimo partito di sinistra, e chiarisce che un movimento d’opposizione faticherà assai a farsi strada in questi ambienti.

2) Prima di salutarti mi preme assai essere “meno difficile” rispetto alla questione dello  scrivere  su FB. Il partecipare a questo ed ad altri social network è, secondo me, un modo contemporaneo con cui si sviluppa la cosiddetta “opinione pubblica”, ma è anche un modo con cui si rivoluzionano i rapporti tra sfera pubblica e quella privata. Categorie forti come; mercati, opinione pubblica, bene comune, stato, nazione, occidente, ecc.  fanno parte di quel bagaglio di strumenti ideal- valoriali con cui le classi dominanti ci tengono sotto scacco. Esse facendo riferimento ad identità collettive, mettono gli individui in condizione di non nuocere e li rendono inoffensivi. “Ce lo impongono i mercati”, “ dobbiamo sacrificarci per il bene comune”, “dobbiamo diffonder i valori occidentali” e “l’opinione pubblica è a favore della lotta alla clandestinità”, “le rivendicazioni sono plausibili, ma vi dovete sacrificare per il bene comune”, ecc. sono tutte espressioni che ci vengono randellate tramite i, non tutti tradizionali. mezzi di comunicazione di massa e sono presentate come democratiche espressioni della “sfera pubblica”. Questa, prima, si costituiva nelle osterie nei caffè ( secondo Habermas è nata lì), nelle piazze (il nostro amato “pino”) nelle sedi dei partiti e dei sindacati, nonché e  principalmente nelle redazioni dei giornali, nei circoli intellettuali e nei salotti della buona borghesia ecc. Naturalmente il  peso dei diversi attori sociali è sempre stato (da quando questa è nata, più o meno con la borghesia moderna) diverso e connesso al capitale economico, sociale, culturale e simbolico. Oggi questi nuovi spazi di comunicazione hanno modificato sensibilmente la questione.  Non voglio qui riportare tutta l’ampia letteratura sull’argomento, ma va da se che la novità è più seria di quanto si creda normalmente. I processi mediante i quali si afferma e si costituisce quotidianamente la relazione tra una classe dominante e quella dominata passano proprio attraverso tali organizzazioni del consenso. Basti pensare che il Papa sta cercando di sfidare cantanti ed attori nella competizione sul numero dei follower. In questo quadro quello che mi preme rilevare  è, ovviamente che l’azione che si svolge, quando si riproduce e si rilancia un’opinione tramite FB, non fa altro che rendere più profonda la penetrazione del messaggio originario. Questo processo appare ancora più rilevante se si tiene conto del fatto che è ridislocato il rapporto tra sfera privata e quella pubblica (quando postiamo immagini, eventi, sentimenti oltre che le opinioni, la sfera privata si assottiglia a favore di quella pubblica), perciò, mentre cresce e si diffonde sempre più la convinzione della libertà dei cittadini -consumatori, libertà che prevede la scelta tra i vari social network sulla rete e tra le diverse argomentazioni, di fatto il nuovo cittadino virtuale partecipa in modo dipendente a reali pratiche di produzione culturale amministrate dai nuovi e vecchi potenti, in particolar modo da quelli che gestiscono il processo di produzione di simboli. Di fronte a questo quadro desolante parecchi pensano che non sia possibile alcuna opposizione, io, al contrario voglio credere che sia possibile contrastarla, perciò attraverso questo banalissimo scritto provo a vedere se sia praticabile un’azione che spinga alla riflessione e quindi alla decostruzione del suo contenuto di potere. In questo senso ti invito a prendere in considerazione una rilettura del programma situazionista ed in particolare il Detournement.

Gianni Laura

P.S. Non mi rimproverare se sono stato: prolisso, lacunoso, frammentario e pedante. Ho dovuto lottare con la voglia di dirti di più, ma anche con quella d’essere tempestivo; oltre a ciò ho dovuto lottare con le miserie della vita quotidiana e con il maltempo di questi ultimi giorni. In ogni caso, spero di essermi fatto capire per almeno l’80% delle mie intenzioni.

RECENSIONE BLOG ALAIN TOURAINE

Essendo tra gli amici (FB) di Alain Touraine mi è stato notificato il  più recente articolo  del suo Blog: 

Comment réveiller la politique endormie ?

visibile sul sito: http://alaintouraine.blogspot.fr/.

Ritenendolo piuttosto condivisibile, almeno per la parte iniziale, quella più analitica, ritengo di rilanciarlo, soprattutto per sottolineare che alcune tematiche, in Italia viste come peculiarità del nostro “tormentato paese”, fanno parte di quella che viene diffusamente ed internazionalmente chiamata: “crisi”.

Benché io sia completamente d’accordo sull’analisi, trovo un po’ più lacunosa la risposta suggerita. Non ho capito infatti come “la politica” (quella criticata nelle parole iniziali) possa uscire da se stessa e riprendere ad agire per difendere la democrazia. Non vorrei che gli attori chiamati a questa rivoluzione siano sempre gli stessi e soprattutto che il gioco rimanga tale e quale. Questo vale soprattutto per il paese da dove arriva il discorso. Nonostante le prese di posizione del Nostro amico e dell’appena scomparso Michel Crozier, la fiducia sul potere salvifico, modernizzante ed universalizzante dello Stato (soprattutto nella sua accezione più centralizzata possibile) è assai forte, soprattutto a sinistra, mentre da noi le crepe sono sempre più vistose.

GRAMELLINI TASSE E CETI POPOLARI

Gentilissimo Signor Gramellini,

Le scrivo perché mi sento in debito con Lei. Sabato sera l’aspettavo al varco e puntualmente l’ho trovata, tranquillamente assieme al suo gregario FabioFazio, pronto a passarci l’ennesima pillola di saggezza per ceti medi moderni. Nel momento in cui esponeva il punto “due” delle sue riflessioni settimanali io ero convinto che sarebbe uscita da uno di voi la frase che puntualmente Fazio ha candidamente proferito “…io credo che sia un eccellente, invece indizio di trasparenza questa cosa di parlare dei propri soldi, di non vergognarsi di quello che si è guadagnato, per quanto il discorso sul differenziale è un discorso, è un discorso su cui riflettere, però è anche motivo vero per il quale vanno pagate le tasse. La redistribuzione sociale funziona con le tasse, le tasse sono la redistribuzione sociale. Dobbiamo pagarle e pretendere che tutti le paghino….”. Questo discorso unitamente a due altre perle da lei espresse: la prima quando pochi attimi prima definisce “…il mercato dà a chi ha tanto e toglie a chi ha poco, perché è una legge proprio di natura, però dico io, proprio per questo dovrebbe esistere la politica per riequilibrare le leggi di natura con le tasse…”, la seconda, immediatamente dopo, quando sostiene che vi sia il rischio della “scomparsa di quel ceto medio che è stato finora la salvezza dell’‘Europa”, potrebbero essere parti costitutive del manifesto  ideologico (proprio in senso marxiano, costruttore di falsa coscienza) di un movimento politico futuro. Chi meglio di Voi può tranquillamente far passare l’idea che basta rispettare le leggi naturali  del mercato e quelle sacre di uno Stato democratico amministrato da dotti tecnici,  per assaporare dei benefici di una pace sociale che rassicura i summenzionati esperti e i loro vessilliferi mentre si godono i denari sudati con “duro lavoro” e che tiene alla larga quegli inutili “pesi sociali” che parole desuete (Lei, infatti, non le cita) come proletari, operai, sudditi, ceti subalterni o, peggio ancora, classe antagonista, tentano di rappresentare.  Chi meglio di Voi benpensanti (non ho intenzione di offenderVi) di sinistra può riuscire a far passare l’idea che la riprovazione sociale non deve indirizzarsi verso gli apprendisti stregoni, programmatori della nostra vita e magari dei nostri naufragi, ma piuttosto nella direzione degli evasori fiscali che, proprio con le fattezze di quello dello spot sui parassiti, possiamo sicuramente ritrovare tra i raccoglitori di pomodori, le donne che puliscono le scale ed i manovali dei cantieri edili.

Il 18 febbraio scorso Rossana Rossanda si domandava se valeva la pena chiamarsi comunisti. Io non penso che ci sia solo disordine sotto il cielo, ma la confusione è tanta. Forse uno dei vantaggi di questa che in molti chiamate crisi sarà la chiarezza.