Grande confusione sul fronte Occidentale

soldato-decapitato-LondraÈ sabato, uno stanco e freddo sabato di spesa, finalmente posso dedicare una mezz’ora del mio tempo alla lettura del mio “vecchio” giornale e, magari dormicchiare sopra l’ennesima diatriba tra la destra e la sinistra o tra la sinistra e chi sta più a sinistra. Risalgo sulla macchina e, sfidando il freddo di questo maggio inconsueto, apro il finestrino per poi accomodarmi all’agognata lettura. Purtroppo i miei propositi devono immediatamente fare i conti con due uomini che, accampati sulla panchina posta a pochi metri stanno litigando in un crescendo di voci. Con uno sforzo cerco di isolarmi e scartato l’ennesimo articolo contro l’acerrimo Berlusconi, gli occhi mi cadono, purtroppo, sull’editoriale del direttore. Non sono passati che pochi secondi e capisco che i miei progetti si sono infranti con quanto mi sta accadendo intorno; le parole dei due uomini sono inframmezzate da imprecazioni e bestemmie ed i toni sono sempre più accesi, mentre l’editoriale (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/05/24/il-fronte-occidentale.html ) mi riporta agli occhi la macabra uccisione di un soldato inglese. L’articolo è scritto con il solito piacevole stile perciò la fatica ad isolarmi dalla lite sanremese non è poi così pesante, anche perché i rumori di una città in pieno centro, che si affanna ad organizzare la pausa pranzo ed il resto del fine settimana, coprono in parte le loro voci. Ezio Mauro nella prima parte, infatti, racconta molto bene, come in un film, la scena truculenta ed il contesto di vita quotidiana di quel luogo (“si mettono in coda, secondo le semplici regole che ci diamo vivendo, per scambiarci garanzie reciproche mentre usciamo di casa, portiamo i nostri figli all’asilo, riuniamo i nostri parlamenti, preghiamo e ragioniamo da soli” (cit)) proprio per farci capire che la minaccia del giovane inglese che ha appena decapitato un suo connazionale “Non sarete mai al sicuro” è rivolta a noi tutti che viviamo nel cosiddetto “Occidente”. Questa maledizione, che ci invia il giovane, giunge tramite immagini riprese da una donna con il proprio telefonino a sua volta ritrasmesse dalle varie TV e sembra riproporre il tema lanciato da Huntington dello scontro di civiltà. Gli ingredienti sembrano esserci tutti  o quasi: l’ineviquovocabile origine africana degli attentatori, il tradimento della religione  cristiana in favore di quella musulmana come segno dell’incapacità di dialogo tra gruppi culturali differenti e lo spavaldo comportamento rivendicativo del soggetto. Mauro si sforza tuttavia di evitare le secche di un tema come quello sollevato da Huntington e, provando un parallelo con il suicidio clamoroso di Dominique Venner all’interno della cattedrale di Notre Dame di Parigi, giunge a riproporre la necessità di un rinnovamento della politica “come strumento della democrazia: e pretendere che funzioni, cambiando finalmente se stessa e tornando a rappresentarci.”

 Mentre rifletto sul tentativo del direttore di andare oltre “l’incubo del tramonto dell’Occidente” e ne constato il suo fallimento, mi devo rendere conto che le mie ambizioni di vivere alcuni minuti di quiete stanno per tramontare. Le voci che avevo voluto trascurare e lasciar sfogare sono diventate ancora più fastidiose e soprattutto realizzo che uno dei due sta inveendo minacciosamente contro un terzo individuo che cammina allontanandosi in tutta fretta. “Non ti far più vedere da queste parti, porco …!” urla con voce forte, ma roca e un po’ stridula, uno dei due uomini acquartierati sulla panchina. Non ci metto molto a capire che i chiacchieroni di poc’anzi sono i due non troppo giovani che passano un bel po’ del proprio tempo proprio in quel luogo e, ogni tanto, allungano distrattamente la mano in cerca di qualche moneta. Fanno parte di quello spazio di vita quotidiana ed il loro stile garbato e poco incline a rappresentazioni ultra pietistiche si è tradotto in un tacito accordo con i commercianti del posto: non infastidiamo i vostri clienti di passaggio, ma voi  una mano ce la date. Il gioco purtroppo ogni tanto viene bruscamente interrotto,  poiché  giunge un terzo e magari un quarto povero cristo che, ignaro degli accordi locali, con fare insistente avvicina i passanti in cerca d’elemosina. Anche in questo caso il malcapitato messo in fuga, essendo straniero (è di colore e non parla italiano)non conoscendo  la prassi del posto viene rampognato dal collega, il quale, benché  un po’ alterato per qualche sorso in più di “nostralino”, “urla a suocera, perché nuora intenda”; uno dei suoi compiti è proprio questo: tenere alla larga i questuanti più fastidiosi o quanto meno fare intendere ai commercianti del luogo che il lavoro è fatto a modino. 

Terminata l’interruzione ritorno alle mie letture ed una serie d’interrogativi mi frullano immediatamente in testa:

  • Continuiamo a chiederci se c’è differenza tra la destra e la sinistra, ma gli argomenti del “nostro direttore” in che cosa si distanziano da quelle di Huntington?
  • In particolare il chiaro e continuo riferimento ad un concetto d’Occidente poco chiaro, oltre ad essere più consono ad un’ottica neo imperialista, non è di fatto un cedimento nei confronti di teorie più marcatamente xenofobe?
  • L’episodio sanremese, nella sua banalità non ci suggerisce che il “canone occidentale” (idem), ossia quel “normale paesaggio della democrazia nelle nostre periferie” (idem) è una rappresentazione che ci diamo e con cui indulgiamo a leggere la realtà, salvo poi rimanere senza parole quando questa si presenta più contraddittoria ed affiorano comportamenti che definiamo devianti o addirittura terroristici?
  • Perché anche di fronte ad un gesto così atroce e spaventoso, la massima espressione “dell’industria mass mediale” anziché prendere in considerazione la denuncia dell’omicida (le sevizie di donne e uomini nei “normali paesaggi delle non democrazie delle loro periferie), continua a guardare l’ombelico di una democrazia in declino presa d’assedio da forze nemiche delle quali non conosce niente?   È sabato, uno stanco e freddo sabato di spesa, finalmente posso dedicare una mezz’ora del mio tempo alla lettura del mio “vecchio” giornale e, magari dormicchiare sopra l’ennesima diatriba tra la destra e la sinistra o tra la sinistra e chi sta più a sinistra. Risalgo sulla macchina e, sfidando il freddo di questo maggio inconsueto, apro il finestrino per poi accomodarmi all’agognata lettura. Purtroppo i miei propositi devono immediatamente fare i conti con due uomini che, accampati sulla panchina posta a pochi metri stanno litigando in un crescendo di voci. Con uno sforzo cerco di isolarmi e scartato l’ennesimo articolo contro l’acerrimo Berlusconi, gli occhi mi cadono, purtroppo, sull’editoriale del direttore. Non sono passati che pochi secondi e capisco che i miei progetti si sono infranti con quanto mi sta accadendo intorno; le parole dei due uomini sono inframmezzate da imprecazioni e bestemmie ed i toni sono sempre più accesi, mentre l’editoriale (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/05/24/il-fronte-occidentale.html ) mi riporta agli occhi la macabra uccisione di un soldato inglese. L’articolo è scritto con il solito piacevole stile perciò la fatica ad isolarmi dalla lite sanremese non è poi così pesante, anche perché i rumori di una città in pieno centro, che si affanna ad organizzare la pausa pranzo ed il resto del fine settimana, coprono in parte le loro voci. Ezio Mauro nella prima parte, infatti, racconta molto bene, come in un film, la scena truculenta ed il contesto di vita quotidiana di quel luogo (“si mettono in coda, secondo le semplici regole che ci diamo vivendo, per scambiarci garanzie reciproche mentre usciamo di casa, portiamo i nostri figli all’asilo, riuniamo i nostri parlamenti, preghiamo e ragioniamo da soli” (cit)) proprio per farci capire che la minaccia del giovane inglese che ha appena decapitato un suo connazionale “Non sarete mai al sicuro” è rivolta a noi tutti che viviamo nel cosiddetto “Occidente”. Questa maledizione, che ci invia il giovane, giunge tramite immagini riprese da una donna con il proprio telefonino a sua volta ritrasmesse dalle varie TV e sembra riproporre il tema lanciato da Huntington dello scontro di civiltà. Gli ingredienti sembrano esserci tutti  o quasi: l’ineviquovocabile origine africana degli attentatori, il tradimento della religione  cristiana in favore di quella musulmana come segno dell’incapacità di dialogo tra gruppi culturali differenti e lo spavaldo comportamento rivendicativo del soggetto. Mauro si sforza tuttavia di evitare le secche di un tema come quello sollevato da Huntington e, provando un parallelo con il suicidio clamoroso di Dominique Venner all’interno della cattedrale di Notre Dame di Parigi, giunge a riproporre la necessità di un rinnovamento della politica “come strumento della democrazia: e pretendere che funzioni, cambiando finalmente se stessa e tornando a rappresentarci.”

     Mentre rifletto sul tentativo del direttore di andare oltre “l’incubo del tramonto dell’Occidente” e ne constato il suo fallimento, mi devo rendere conto che le mie ambizioni di vivere alcuni minuti di quiete stanno per tramontare. Le voci che avevo voluto trascurare e lasciar sfogare sono diventate ancora più fastidiose e soprattutto realizzo che uno dei due sta inveendo minacciosamente contro un terzo individuo che cammina allontanandosi in tutta fretta. “Non ti far più vedere da queste parti, porco …!” urla con voce forte, ma roca e un po’ stridula, uno dei due uomini acquartierati sulla panchina. Non ci metto molto a capire che i chiacchieroni di poc’anzi sono i due non troppo giovani che passano un bel po’ del proprio tempo proprio in quel luogo e, ogni tanto, allungano distrattamente la mano in cerca di qualche moneta. Fanno parte di quello spazio di vita quotidiana ed il loro stile garbato e poco incline a rappresentazioni ultra pietistiche si è tradotto in un tacito accordo con i commercianti del posto: non infastidiamo i vostri clienti di passaggio, ma voi  una mano ce la date. Il gioco purtroppo ogni tanto viene bruscamente interrotto,  poiché  giunge un terzo e magari un quarto povero cristo che, ignaro degli accordi locali, con fare insistente avvicina i passanti in cerca d’elemosina. Anche in questo caso il malcapitato messo in fuga, essendo straniero (è di colore e non parla italiano)non conoscendo  la prassi del posto viene rampognato dal collega, il quale, benché  un po’ alterato per qualche sorso in più di “nostralino”, “urla a suocera, perché nuora intenda”; uno dei suoi compiti è proprio questo: tenere alla larga i questuanti più fastidiosi o quanto meno fare intendere ai commercianti del luogo che il lavoro è fatto a modino. 

    Terminata l’interruzione ritorno alle mie letture ed una serie d’interrogativi mi frullano immediatamente in testa:

    • Continuiamo a chiederci se c’è differenza tra la destra e la sinistra, ma gli argomenti del “nostro direttore” in che cosa si distanziano da quelle di Huntington?
    • In particolare il chiaro e continuo riferimento ad un concetto d’Occidente poco chiaro, oltre ad essere più consono ad un’ottica neo imperialista, non è di fatto un cedimento nei confronti di teorie più marcatamente xenofobe?
    • L’episodio sanremese, nella sua banalità non ci suggerisce che il “canone occidentale” (idem), ossia quel “normale paesaggio della democrazia nelle nostre periferie” (idem) è una rappresentazione che ci diamo e con cui indulgiamo a leggere la realtà, salvo poi rimanere senza parole quando questa si presenta più contraddittoria ed affiorano comportamenti che definiamo devianti o addirittura terroristici?
    • Perché anche di fronte ad un gesto così atroce e spaventoso, la massima espressione “dell’industria mass mediale” anziché prendere in considerazione la denuncia dell’omicida (le sevizie di donne e uomini nei “normali paesaggi delle non democrazie delle loro periferie), continua a guardare l’ombelico di una democrazia in declino presa d’assedio da forze nemiche delle quali non conosce niente?   

Saviano, Mentana, i bulli e Twitter

chi tocca muoreNell’ articolo odierno di Saviano su Repubblica (http://www.repubblica.it/politica/2013/05/11/news/diritto_social_network-58533282/) si assiste ad una nuova puntata della questione “come regolamentare l’attività dei social network”. Casualmente, ma non proprio, nella pagina precedente Giovanni Valentini, con http://www.zeroviolenzadonne.it/rassegna/pdfs/11May2013/11May2013be9e1971f5f5ccec287c3eb344c141f2.pdf  affronta lo stesso tema. Non cito le puntate precedenti perché non sono in grado di rintracciarle tutte, ma sento, a naso, che qualcosa sta bollendo. Se fior fiore di liberal  come costoro stanno parlando di regolamentare internet, la cosa si fa seria. C’è da stare preoccupati!!

La vastità del tema, tuttavia mi suggerisce di limitare quest’intervento ad un particolare risvolto della questione. L’esigenza di regolamentazione di quella realtà, ormai amichevolmente chiamata  “rete”, avvertita da personaggi normalmente rintracciabili su altri mass media è un buon punto d’avvio per un’analisi dello scritto di Saviano. Egli nel suo articolo, citando i linguisti Sapir e Whorf, suggerisce l’ipotesi che poiché  i commenti biliosi degli utenti di Facebook e Twitter portano solo bile e veleno nelle vite di chi scrive e di chi legge, (Saviano, cit) il rischio di un’entropia del linguaggio (idem)contagi anche la comunicazione politica (idem) è assai forte. Per tale motivo egli suggerisce, da buon liberal, non la repressione, ma la marginalizzazione di chi si nutre “come un parassita  –  della fama degli altri” (idem). Senza, probabilmente volere, Saviano, con le ultime parole del suo articolo ci dona la chiave per aprire questa controversia. Io non sono un gran frequentatore di Twitter, e soprattutto mi guardo bene dal favorire ipertrofie egoiche dei personaggi famosi, anche perché l’idea di seguire pensieri sintetici di divi televisivi mi irrita il nervo vago e mi provoca antipatici fastidi. Tuttavia, per quel poco che ho potuto capire,  da alcune mie brevi frequentazioni, quel social media sembra essere particolarmente amato  dalle persone dotate di quell’attributo tanto ambito: la fama. Il direttore del TG La 7  Enrico Mentana nel ribadire, proprio stasera, di aver abbandonato Twitter, ci ha ricordato di avere raggiunto i 350.000 seguaci. Probabilmente, se il fatto non è ancora avvenuto, fra qualche tempo il numero dei followers  costituirà fattore di rilievo per definire curriculum vitae, posizioni remunerative e di carriera nonchè status delle figure professionali più ambite In ogni caso questi fenomeni suggeriscono alcune ipotesi su cui sarebbe opportuno avviare attività di ricerca.

  1. All’interno della vastissima area costituita dai tweetters, ha trovato spazio una più ristretta cerchia di personaggi che, partendo dai tradizionali mass media, è riuscita a rendere più concreta e misurabile la propria popolarità; la cristallizzazione del successo e la popolarità sono oggi più “reali”, paradossalmente proprio grazie all’avvento del regno del virtuale.
  2. Il sistema d’azione che si costituisce all’interno di questo specifico segmento di Twitter, vede la presenza di attori con aspettative e ruoli formali diversi: da una parte c’è l’opinion leader che elargisce pillole di saggezza, dall’altra una massa più o meno cospicua di seguaci abilitati soprattutto a favorire il consenso intorno alle posizioni del loro amato account. Tutto ciò avviene in un ambiente socio-tecnico del tutto nuovo, ma con intenzioni e strategie nate altrove.
  3. Tra gli elementi tecnici alcuni fatti come: la possibilità dell’anonimato, la limitazione del numero delle parole e la destrutturazione del tempo e dello spazio minano le fondamenta della rappresentazione presentata al punto precedente, perciò fatti imprevisti come retweet e post  molesti, magari carichi di insulti e minacce rendono irrespirabile l’aria della rete.
  4. Di fronte a questa realtà Saviano avrebbe avuto l’occasione di rendersi conto che la rappresentazione ideologica della nuova istituzione sociale Tweetter non è in grado di funzionare, egli avrebbe potuto comprendere che la realtà è molto più complessa e che tra i possibili malfattori potrebbe nascondersi un sottoccupato metropolitano che comodamente a casa propria, magari dopo una giornata frustrante sfoga la propria rabbia o una casalinga annoiata, ma incavolata col marito, oppure un professionista tronfio per i propri successi, ma disgustato per le recite in cui è coinvolto. Ma soprattutto avrebbe avuto l’opportunità di verificare la limitatezza dell’ipotesi deterministica di Sapir, ripresa poi da Whorf (che qualcuno ha scambiato per l’ultima scoperta della scienza americana). Il linguaggio in questo contesto è una pratica sociale interpretata da attori che plasticamente rivestono ruoli in situazioni determinate e che si muovonoi in funzione del grado di libertà che le opportunità consentono. Il Tweetter che oggi è praticato esprime opportunità di autocelebrazione per alcuni e sfoghi per altri, il tutto in un gioco delle parti che difficilmente può essere messo in discussione, per questo pensare che quel social network sia cosa nostra è assai velleitario.