I fondatori dell’Internazionale situazionista a Cosio di Arroscia, nell’aprile del 1957. Da sinistra a destra: Pinot Gallizio, Piero Simondo, Elena Verrone, Michèle Bernstein, Guy Debord, Asger Jorn e Walter Olmo
Carissimo Giovanni scusami se la risposta non è stata tempestiva, ma sono stato impegnato su diversi fronti, perciò, volendo essere con te il più esauriente possibile ti mando questo messaggio con un po’ di ritardo.
Guardando ai fatti di questi giorni, soprattutto quelli avvenuti il 18 dicembre, possiamo costatare che gli “organizzatissimi” agitatori di popolo si sono dovuti misurare con forze preponderanti e, per il sollievo di molti, stanno retrocedendo leccandosi le molte ferite. Probabilmente più avanti ritorneranno alla carica, ma per ora il pericolo è scongiurato. Nonostante questi risultati la mia opinione non cambia. Per me quando un gruppo umano evidenzia e mette in discussione immediatamente i rapporti di dominio in cui è coinvolto, merita rispetto, anche se il suo lessico e le sue considerazioni non sono passati al vaglio del polically correct. Ciò è, per me, vero tanto più se questo avviene in questa fase in cui l’accelerazione inferta dalla cosiddetta crisi sta mostrando la fine di prospettive passate (l’opzione socialdemocratica sta vacillando in Svezia, figurati qua, dove Report ha un successo proprio per le sue risibili applicazioni). Non mi voglio soffermare troppo su una protesta mezza mancata, ma ti suggerisco di considerare che una buna parte di quei signori sta vivendo esperienze non molto diverse da quello che stanno accadendo e sono accadute a gran parte di quella che un tempo era chiamata: la classe operaia. Gli autotrasportatori, ad esempio, dopo essere stati fatti “mettere in proprio” forzatamente devono gestire cali drastici del lavoro mentre le normative appesantiscono sempre di più le condizioni di lavoro. I venditori ambulanti, visti assai incazzati nelle manifestazioni di Torino, si sono dovuti misurare con leggi europee che, liberalizzando il mercato hanno messo in discussione il loro “posto” di lavoro. Di fronte ad un così diffuso processo di trasformazione, la cui ampiezza è testimoniata anche dal cospicuo numero di suicidi, il vedere rigurgiti neofascisti, solo perché alcuni loschi figuri si sono messi in evidenza per cavalcare la forza dirompente del movimento, è a mio avviso un errore assai grave ed è collegato alla limitatezza teorica della sinistra. Questa, avendo da tempo abbandonato il marxismo si è rifugiata in una serie di concezioni più o meno socialdemocratiche, tutte caratterizzate da iperstatalismo e legalitarismo sul piano dottrinario e da un funzionalismo permeato da uno spiccato volontarismo su quello dell’analisi. Non dovendo chiarire i primi due –ismi, mi limito a farlo per i due secondi, così evito di essere accusato di parlare astruso. Per fare ciò analizzerò, brevemente uno dei tuoi ultimi post su F.B. e la questione dello scrivere su tale social network.
1) Il 18 dicembre hai postato su facebook, per corroborare la tua tesi, l’articolo: “Per dei forconi con progetto” http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=4431 di Francesco Gesualdi. Questi, dopo aver criticato, a modo suo, lo scarso senso civico dei “forconi” si esercita in una ridicola contrapposizione proponendo “ due strade di fronte a noi: quella della difesa degli interessi corporativi e quella della difesa dei valori” (Gesualdi, cit.). Quello scritto, evidenzia
- Insensibilità ( usa l’abilità retorica per mostrare la propria superiorità etica e per escludere dal novero dei meritevoli chi era “vilmente” in combutta col nemico).
- Scarsa lucidità d’analisi, i due termini non solo non sono alternativi, ma hanno un punto in comune: il ruolo forte dello stato. Il corporativismo è una prassi rivendicativo riscontrabile, peraltro, anche nell’ambito del lavoro dipendente, che si afferma quando un movimento non è in grado di contestare il sistema di dominio, e ricerca, attraverso mediazioni di qualunque tipo, protezione da parte dello stato dei propri privilegi. La difesa di valori esprime invece un atteggiamento conservatore teso alla ricerca di un equilibrio del sistema (oggi minacciato dai turpi capitalisti mercantili -finanziari), che dopo aver definito un orientamento comune, persegua obiettivi di sicurezza attraverso l’interiorizzazione delle corrispondenti norme da parte dei cittadini. Con tale approccio, molto etico ed accattivante, non tenendo conto né dei rapporti sociali esistenti, che vengono reificati in ruoli sociali formalmente definiti (i dipendenti, gli autonomi, i padroni), né degli attori coinvolti, che vengono resi subalterni ad un disegno moralmente predefinito e tanto meno dell’azione repressiva svolta dagli attuali sistemi nei quali siamo inseriti, Gesualdi auspica una mobilitazione, attraverso una resipiscenza dei cittadini persi sulla cattiva strada (aspettali merlo) che sfoci in equilibri politici più avanzati.
- Ed incrollabile fedeltà per la classica ricetta, piuttosto datata, che vede la predisposizione di una piattaforma rivendicativa (la “tripla area di sicurezza” (Gesualdi, cit.). ), utile per essere sottoposta alla “discussione politica” e soprattutto per essere utilizzata come base per la costituzione dell’ennesimo partito di sinistra, e chiarisce che un movimento d’opposizione faticherà assai a farsi strada in questi ambienti.
2) Prima di salutarti mi preme assai essere “meno difficile” rispetto alla questione dello scrivere su FB. Il partecipare a questo ed ad altri social network è, secondo me, un modo contemporaneo con cui si sviluppa la cosiddetta “opinione pubblica”, ma è anche un modo con cui si rivoluzionano i rapporti tra sfera pubblica e quella privata. Categorie forti come; mercati, opinione pubblica, bene comune, stato, nazione, occidente, ecc. fanno parte di quel bagaglio di strumenti ideal- valoriali con cui le classi dominanti ci tengono sotto scacco. Esse facendo riferimento ad identità collettive, mettono gli individui in condizione di non nuocere e li rendono inoffensivi. “Ce lo impongono i mercati”, “ dobbiamo sacrificarci per il bene comune”, “dobbiamo diffonder i valori occidentali” e “l’opinione pubblica è a favore della lotta alla clandestinità”, “le rivendicazioni sono plausibili, ma vi dovete sacrificare per il bene comune”, ecc. sono tutte espressioni che ci vengono randellate tramite i, non tutti tradizionali. mezzi di comunicazione di massa e sono presentate come democratiche espressioni della “sfera pubblica”. Questa, prima, si costituiva nelle osterie nei caffè ( secondo Habermas è nata lì), nelle piazze (il nostro amato “pino”) nelle sedi dei partiti e dei sindacati, nonché e principalmente nelle redazioni dei giornali, nei circoli intellettuali e nei salotti della buona borghesia ecc. Naturalmente il peso dei diversi attori sociali è sempre stato (da quando questa è nata, più o meno con la borghesia moderna) diverso e connesso al capitale economico, sociale, culturale e simbolico. Oggi questi nuovi spazi di comunicazione hanno modificato sensibilmente la questione. Non voglio qui riportare tutta l’ampia letteratura sull’argomento, ma va da se che la novità è più seria di quanto si creda normalmente. I processi mediante i quali si afferma e si costituisce quotidianamente la relazione tra una classe dominante e quella dominata passano proprio attraverso tali organizzazioni del consenso. Basti pensare che il Papa sta cercando di sfidare cantanti ed attori nella competizione sul numero dei follower. In questo quadro quello che mi preme rilevare è, ovviamente che l’azione che si svolge, quando si riproduce e si rilancia un’opinione tramite FB, non fa altro che rendere più profonda la penetrazione del messaggio originario. Questo processo appare ancora più rilevante se si tiene conto del fatto che è ridislocato il rapporto tra sfera privata e quella pubblica (quando postiamo immagini, eventi, sentimenti oltre che le opinioni, la sfera privata si assottiglia a favore di quella pubblica), perciò, mentre cresce e si diffonde sempre più la convinzione della libertà dei cittadini -consumatori, libertà che prevede la scelta tra i vari social network sulla rete e tra le diverse argomentazioni, di fatto il nuovo cittadino virtuale partecipa in modo dipendente a reali pratiche di produzione culturale amministrate dai nuovi e vecchi potenti, in particolar modo da quelli che gestiscono il processo di produzione di simboli. Di fronte a questo quadro desolante parecchi pensano che non sia possibile alcuna opposizione, io, al contrario voglio credere che sia possibile contrastarla, perciò attraverso questo banalissimo scritto provo a vedere se sia praticabile un’azione che spinga alla riflessione e quindi alla decostruzione del suo contenuto di potere. In questo senso ti invito a prendere in considerazione una rilettura del programma situazionista ed in particolare il Detournement.
Gianni Laura
P.S. Non mi rimproverare se sono stato: prolisso, lacunoso, frammentario e pedante. Ho dovuto lottare con la voglia di dirti di più, ma anche con quella d’essere tempestivo; oltre a ciò ho dovuto lottare con le miserie della vita quotidiana e con il maltempo di questi ultimi giorni. In ogni caso, spero di essermi fatto capire per almeno l’80% delle mie intenzioni.
dicembre 26, 2013
Categorie: Sinistra e destra, zonalibertaria . Tag:ceto medio, classe dirigente, comunisti, facebook, forconi, globalizzazione, mercato, SITUAZIONSTI, sudditi . Autore: gorghi55 . Comments: 1 commento