Non tanto perché ho avuto a che fare con questa “bestia” ormai famosissima, ma anche per quella specifica terapia che è volta a mandarmi copioso sangue al cervello, mi lancio in alcuni considerazioni, volutamente provocatorie.
La domanda posta nel titolo non è messa lì per definire correttamente il nome della “bestia” cattiva e tantomeno vuole entrare nella questione medico-scientifica, se il virus abbia avuto una o più mutazioni.
La domanda ha tuttavia, per me una risposta: I COVID CIRCOLANTI SONO ALMENO DUE.
COVID 2020 COME DISPOSITIVO ALL’INTERNO DI CAMPI ORAGANIZZATIVI[1]
Il primo (qui di seguito COVID 19) è quello che ha colpito, leggermente me, alcuni miei cari, qualche milionata di poveri cristi (una parte di loro se la sta passando proprio male e, purtroppo molti muoiono o sono già defunti), qualche milionata di sanitari di vario genere e, volendo mettere nel mucchio anche questi, qualche milionata di pazienti non-covid, che vede trascurata la propria infermità. Di questo covid non dico altro perché sono solo un suo punto di scalo, spero più breve possibile, ma non essendo uso maneggiare virus e malattie varie, passo oltre.
Il secondo covid, quello che si potrebbe chiamare COVID 2020, è per me meno sconosciuto. Esso non è un virus, né sul piano virologico e neanche su quello organicistico,[2] anche se la sua circolazione è quantomeno veloce e diffusiva quanto il precedente.
Ma se non è il virus cattivo che tremare il mondo fa, che cos’è? Per svelare il mistero, che arcano non è, parto con una esemplificazione che può illuminare facilmente l’oggetto. Quando nei giorni scorsi il mondo ha tremato perché Trump sarebbe stato contagiato dal COVID 19, non pochi, me compreso, hanno avuto il dubbio che l’astuto presidente americano potesse provare a presentarsi come uomo superiore, capace di risorgere più forte e sano che pria, usando il COVID, quello 2020 come nemico che i grandi se lo sanno bere a colazione. Nelle elezioni americane e non solo in quelle, alcuni contendenti, Biden in testa, hanno ampiamente usato il COVID 2020 per mostrare e sbandierare la propria scelta di campo filo-scientifica. Anche da noi questo essere impalpabile è presente nelle argomentazioni che innervano il campo politico. Da una parte vi è chi ne presenta il carattere minaccioso, ma dominabile solalmente col rispetto delle indicazioni degli esperti di turno, dall’altra ora con negazioni, ora con esaltazioni, ora con azioni temerarie, ci si propone come soggetti capaci di una maggiore dimestichezza con quello che io chiamo: “dispositivo di sapere/potere COVID 2020” (d’ora in poi solo COVID 2020). Macroscopiche appaiono, proprio in questi giorni le controversie tra esponenti del governo e di potentati locali, sia sulle azioni da intraprendere, sia sull’interpretazione dei dati quotidianamente sfornati dalle diverse agenzie preposte. A riprova dell’uso politico organizzativo (in senso lato) di questo dispositivo si può citare l’odierna diatriba sul numero dei parametri da impiegare per la definizione delle condizioni delle diverse regioni. https://www.ilmattino.it/primopiano/politica/zona_rossa_arancione_regole_covid_dpcm_regioni_governo_news_oggi_17_novembre_2020-5591356.html
Esso, infatti, a differenza di quello 19, è assai più malleabile ed è impiegato in molti campi, i più disparati, per azioni organizzative più o meno profittevoli. Nel campo mediatico, il COVID 2020 garantisce semplificazioni nella scelta dell’argomento da trattare e, in quello televisivo, un numero di ascolti sufficientemente elevato per giustificare la propria presenza più o meno quotidiana. Non solo, ma lì come nel comparto cartaceo o virtuale, il dispositivo viene usato per il riposizionamento del profilo editoriale della testata giornalistica e degli stessi giornalisti. Esemplificativo di ciò è stato lo scontro Padellaro – De Angelis del 29 ottobre scorso, durante la trasmissione “Piazza Pulita” di Corrado Formigli. https://www.la7.it/piazzapulita/video/duro-scontro-tra-padellaro-e-de-angelis-come-ti-permetti-di-dire-una-cosa-del-genere-30-10-2020-347526
In esso il COVID 2020 è stato usato, attraverso acrobazie discorsive, in rapporto dialettico con l’altra parola magica: “la politica”, per evidenziare la competizione mediatica tra due testate giornalistiche concorrenti e tra due figure di giornalisti che non mancano di garantire la loro presenza nei circuiti televisivi.
A ben guardare anche nel campo medico – scientifico è facile riscontrare disinvolti impieghi del COVID 2020. Nel momento in cui, rapporti di ricerca, più o meno affidabili sul COVID 19, entrano nel dibattito e magari nello scontro tra luminari della virologia, appare molto difficile per i vari Virus-Star evitare di ibridare risultati ineccepibili, ma anche verificabili e, perché no, falsificabili, con affermazioni poste all’interno della comunicazione di massa. Anche qui è facile trovare un esempio chiarificante. La famosa esternazione pubblica del Professor Alberto Zangrillo relativa alla presunta morte clinica del COVID 19. https://www.youtube.com/watch?v=L_KhriEBYus
Quello che io padroneggio modestamente, ma che evidentemente l’esimio professore mostra di non conoscere a fondo, è lo strumento che gli ha permesso alcune sue esternazioni, sia pure corredate da correttissimi rapporti di ricerca, e che le ha trasformate in comunicazioni di massa rivolte ad un pubblico, perlopiù incompetente. Il suo discorso è totalmente distante dalla comunicazione ordinaria, con cui tratta coi pazienti, con i colleghi e con tutti quelli che partecipano alla sua quotidiana pratica di medico. Il suo discorso cambia addirittura l’oggetto di cui egli parla: il COVID 19 esce di scena ed appare sbrilluccicante il COVID 2020. Qui non abbiamo alcun virus più o meno mortale, qui abbiamo un soggetto completamente diverso. Esso offre occasioni a chi la spara più grossa per mettersi in mostra, per mostrare arredi o corredi inneggianti la propria virtù scientifica, gli fa beneficiare di riflettori altrimenti diversamente dedicati e, soprattutto, consente allo scienziato di turno, senza alcuna remora, di sostenere la coalizione nel proprio campo di appartenenza. Quest’ultimo aspetto appare, proprio in questi giorni evidentissimo, proprio grazie a quanto indicato nell’articolo. https://quifinanza.it/editoriali/video/san-raffale-burioni-mail-covid/432141/
In esso lo scontro tra scienziati medici appare del tutto evidente e ben riassunto in una mail del gruppo San Donato, nel quale vengono definiti i contorni della situazione sanitaria lombarda in opposizione a quella proposta dal Virus-Star Roberto Burioni (Professore Ordinario di Microbiologia e Virologia, Dottore di Ricerca in Scienze Microbiologiche, Specialista in Immunologia Clinica ed Allergologia, nonché docente proprio all’Università Vita-Salute San Raffaele).
Va da se che io presentando questi esempi, non penso proprio di fare una scelta di campo medico, non ho nessuna competenza in materia. Ribadisco però che, a mio avviso, qualunque virologo o medico di varia natura, quando straordinariamente, ossia al di fuori della sua attività quotidiana di professionista del settore, sforna esternazioni pubbliche sul virus, in contesti non riconducibili ai protocolli della discussione scientifica o al più, a documenti divulgativi, egli parli esclusivamente del COVID 2020. Il significato della sua esternazione non è infatti dato tanto dal contenuto della stessa, ma dal contesto comunicativo in cui questo avviene e soprattutto dall’azione organizzativa sottesa alla medesima. Affermare che il virus è morto o che è vivo o che si diffonde più o meno rapidamente, non si limita al semplice giudizio espresso nell’esternazione, ma posiziona il comunicatore all’interno di contese infra o extra organizzative del proprio campo organizzativo (V. in questo caso l’importante relazione tra il campo della medicina e quello dell’amministrazione statale, per non parlare di quello della politica). A questo riguardo l’esperienza svedese degli ultimi anni (V. l’interessante e specifico studio presentato da H. Hasselbladh, E. Bejerot) mostra come la relazione tra il campo medico, i cittadini di quel paese, nuovi attori con diverse e peculiari qualificazioni, il campo della politica e l’amministrazione statale, abbia visto nel tempo, una sensibile trasformazione, tanto da suggerire il perché della peculiare scelta adottata nei confronti della pandemia. Ma questo ci porta a far luce su un nuovo aspetto di questa trasmutazione.
COVID 2020 COME DISPOSITIVO DI GOVERNAMENTALITA’
Il luogo in cui l’emergere del COVID 2020 mi appare più interessante, è tuttavia, quello della cosiddetta governamentalità. Se esso sta giocando un ruolo di primo piano in controversie nei vari campi in cui è organizzata l’azione sociale, quello che svolge nelle pratiche governamentali[3] è sempre più un’azione da vero e proprio protagonista.
Esso, assumendo ora la faccia della minaccia epocale, ora quella più fredda di una gran messe di dati, ora ancora le fattezze del virologo o scienziato di turno, si pone come ago di una bilancia sui cui piatti compaiono altri due colleghi non meno ingombranti: la libertà e, quel suo nemico acerrimo del momento, che ha preso ovunque il nome di lockdown.
Foto 1
Si renderebbero ora necessarie approfondite argomentazioni sulla storia più o meno recente del liberalismo contemporaneo, ma il carattere di questo documento, valido come spunto di riflessione sul fenomeno COVID, mi consente solo un rapido sguardo di sfondo.
Il problema della libertà, in un’ottica governativa e, che proprio in questi giorni vede il suo nome assunto come slogan da sbattere in faccia contro chi propone chiusure di vario genere, è oggetto di controversia. Questa, negli ultimi quarant’anni, soprattutto a seguito dell’esplosione di politiche neo-liberiste che hanno avuto in Gran Bretagna e negli USA la massima espressione, si è manifestata con grande virulenza. A seguito di questo processo politico di smantellamento dello stato assistenziale, i rischi, che la cosiddetta libertà ha posto, oltre alla contraddizione connessa alla presenza della necessità di pratiche di governo, sono stati di varia natura. Da una parte l’affermazione di persone autonome, capaci di scelte individuali e di affermazioni di preferenze sempre più particolari, se ha consentito l’affiorare di nuovi mercati e, conseguentemente, di nuove sfere di business, dall’altro ha fatto emergere anche nuove pratiche e comportamenti border line, o addirittura estranei a tradizioni più o meno secolari. Questa condizione, unitamente allo sviluppo ed al rafforzamento delle imprese globali, sempre più capaci di imporre le proprie condizioni strategiche e soprattutto la loro crescente capacità di innovazione culturale (V. ad esempio, tutto quello che avviene nel campo dei nuovi media) pone dei rischi. In particolare rende possibile ridurre l’azione degli stati nazionali a semplici baluardi (fatti di muri ed azioni umanamente riprovevoli), contro la prorompente domanda di futuro, posta da popolazioni messe ai margini del benessere del mondo globalizzato.
Il COVID 19 e soprattutto il suo replicante 2020 si presentano come ghiotta occasione per far emergere quello che alcuni studiosi[4] chiamano e descrivono: il “liberalismo avanzato”.
Già con il neo-liberalismo tardo novecentesco, si è andati oltre il liberalismo classico e quindi oltre il governo dei singoli, attraverso la pressione sociale corroborata da azioni statali di governo, e si è giunti a forme di auto-governo nelle quali gli individui, così costituiti, attraverso la libertà, vengono portati ad autodeterminarsi nelle loro scelte, facendo leva su dettami morali espressi dal governo centrale e da istituzioni sociali consolidate. Con l’affermazione del mercato come luogo di esercizio della libertà di scelta del cittadino – consumatore, col declino di uno stato di diritto sia come regolatore, sia come stato assistenziale, il singolo si è trovato sempre più indipendente da politiche pubbliche e sempre più libero e meno condizionato da relazioni sociali, giuridicamente controllate (V. la crescita a dismisura di contratti di lavoro di tipo individuale a scapito di quelli collettivi).
Con il liberalismo avanzato le pratiche governamentali, per far fronte ai pericoli indicati qui sopra, garantiscono la libertà di movimento, ma mettono in campo azioni di sorveglianza e regolazione, sia pure indirette, mediante tecniche di costruzione della cittadinanza e dell’agentività, che con brutta espressione io traduco attoranza.[5]
La tecnologia di cittadinanza si riferisce a tutti quegli sforzi sistematici per instillare responsabilità, e capacità di autoregolamentazione dei comportamenti negli attori collettivi o individuali. Appelli rivolti all’individuo, per essere un lavoratore responsabile, (ecco qui comparire il quarto elemento: la responsabilità, costitutivo del sistema oggi vigente e riprodotto della fig.1), un consumatore consapevole, un cittadino attivo o un imprenditore innovativo, compaiono ovunque nella vita moderna, a cominciare dai talk show radio televisivi e dai programmi formulati da governi e organizzazioni internazionali. Nell’individuazione di alcuni aspetti di questi appelli a gruppi di target specifici e nella creazione di contesti favorevoli alla loro articolazione e realizzazione, emerge il fatto che gli stessi sia pure in misura indiretta, si trasformino in tecnologie di governo avanzato.
Le tecnologie dell’agentività includono tutte le misure che cercano di favorire la capacità di esercitare il libero arbitrio, all’interno di una zona di libertà regolamentata e sono volte alla costituzioni di attori sociali responsabili e formalmente identificabili (ad esempio: il consumatore, il professionista, il pensionato, sul piano individiale; il gruppo politico, il sindacato, il club sportivo o i gruppi di whatsap, su quello collettivo), capaci di dar corpo ad azioni ben definite all’interno di costruzioni sociali pre-programmate. Il consumatore è libero di scegliere i propri beni di consumo, ma è invitato a farlo seguendo protocolli d’azione, sia pure innovativi, che garantiscano le indicazioni di autorità specifiche. I pazienti ed i soggetti destinatari di assistenza e previdenza pubblica, per fare esempi più prossimi al tema trattato, sono attesi e incoraggiati (o obbligati se necessario) a prendere parte a nuove pratiche, che si basano sulla loro presunta propensione ad applicare mezzi razionali per fini presentati come evidenti e concreti. Gli attori individuali e collettivi non sono costretti ad agire esattamente secondo un piano governativo preconcetto, ma sono invitati ad adeguarsi a nuovi criteri di rilevanza e razionalità. I nuovi principi e pratiche sono prodotti e articolati all’interno di un più ampio discorso di governance che privilegia le modalità di controllo mediate e indirette. In parziale opposizione con i regimi di governamentalità precedenti, che si erano prefissati di liberare il cittadino dall’intervento del governo (liberalismo orientato al mercato) o attutire i cittadini vulnerabili mediante sistemi di sicurezza sociale e servizi pubblici (assistenzialismo), il nuovo regime tenta di costituire vari attori caratterizzati da zone di libertà regolamentata. I singoli attori sono attesi fare le proprie scelte (i consumatori scelgono beni e servizi, nonché i propri medici o i fornitori di linee telefoniche), mentre gli attori collettivi (gruppi di esperti, società, agenzie) si propongono come partecipanti ad un gioco di libertà semi-regolata, in base al quale, a fronte di un loro ruolo strategico di costitutori di specifiche istituzioni sociali e delle corrispondenti logiche,[6] vedono il ruolo dello Stato ridursi sempre più alla fornitura di risorse, alla codifica, formalizzazione ed implementazione di regole e, se necessario, alla creazione di attori responsabili.
COVID 2020 COME DISPOSITIVO GOVERNAMENTALE
Non occorrono molti sforzi per rendersi conto che la questione del COVID 19 e della sua trasmutazione in COVID 2020 fornisce una ghiotta occasione per l’affermazione di queste forme avanzate di governamentalità. Il singolo cittadino si trova inserito all’interno di quel rete relazionale di sorveglianza[7] descritto poc’anzi, in cui le sollecitazioni per un comportamento responsabile (metti la mascherina, annulla le tue relazioni e contatti diretti, lavati le mani, e rimani il più possibile a casa) vedono da una parte la figura premiale della libertà (condizionata oggi e il più possibilmente piena, in un futuro più o meno remoto) e dall’altra, la punizione collettiva del cosiddetto lockdown (totale o come accade in questi ultimi tempi, parziale e limitato da scelte, fatte non del tutto arbitrariamente, dagli esperti di turno). È da rimarcare che in questo contesto di sorveglianza e punizione, il COVID 2020 assume in modo prorompente anche le sembianze del documento televisivo, della foto proposta sui nuovi media e della narrazione volta a rimarcare il comportamento irresponsabile altrui o delle manchevolezze organizzative dei servizi pubblici e privati, operanti in particolare nei grandi centri. A questo proposito la possibilità offerta dai nuovi media, di “postare” documenti confermanti comportamenti scorretti, non fa altro che contribuire alla costituzione del cosiddetto “cittadino responsabile”, che è al centro di tutta l’azione governamentale.
Anche il contagiato e quindi il paziente COVID si trova inserito in una rete sociale simile a quello appena descritto, ma la sua condizione gli fa assumere una posizione un po’ differente. Egli, non solo è una persona contagiata dal virus, è diventato per un certo periodo, un paziente covid. Costui, anche solamente asintomatico o lievemente portatore di disturbi, è tenuto responsabilmente a ritirarsi da ogni contatto personale, a coinvolgere i propri familiari (magari non contagiati) in un periodo di quarantena, a dover partecipare ad attività di “tracciamento”, anche se spesso inconcludenti, alla produzione, quindi di archivi di dubbia efficacia ed attendere la liberatoria certificazione di uscita dalla malattia, rappresentata dal famoso “tampone negativo”. Tutte queste attività, stante l’impossibilità da parte dello stato di controllarne puntualmente l’esecuzione, vedono necessariamente la partecipazione attiva e responsabile del paziente stesso.
Del paziente ospedalizzato non sono in grado di dire granché, se non che la sua esperienza è fortemente vincolata dalle risorse sanitarie disponibili, le quali, essendo legate al livello complessivo del contagio, offrono l’occasione per la riaffermazione della responsabilità del cittadino e quindi, come in un circolo vizioso nella sua sorveglianza ed eventualmente punizione.
In conclusione, credo di aver mostrato in modo sufficientemente chiaro che, se il COVID 19, probabilmente in un futuro, si spera più vicino possibile, abbandonerà i nostri organi da lui preferiti e diventerà il ricordo di una pandemia assassina, ma fortunatamente lontana, di quello che io mi sono arrogato il diritto di chiamare COVID 2020, potremo registrare i suoi effetti anche in un futuro piuttosto remoto.
P.S. Piccola noterella sulla questione della libertà. Visto che da molto tempo mi sono autodefinito “libertario”, la parola ha per me, unitamente a quello di potere e di dominio, un valore assai importante, ma per trattarli un po’ più compiutamente, mi riservo di dedicare loro un documento apposito, in un futuro, spero il più prossimo possibile. Per il momento mi limito ad evidenziare che la libertà, più volte sopra citata, si trova, per me in evidente, contraddizione col regime di dominio in cui siamo immersi. Probabilmente il lettore più attento avrà già presente come io abbia già potuto mostrare tale contrapposizione. Per lasciare qualche altro sassolino, per i Pollicini più intraprendenti, indico alcuni maestri che, sia pure in contrasto fra loro, mi hanno orientato in queste e nelle future argomentazioni. Oltre al già citato Michel Foucault, ritengo utile ricordare, Pierre Bourdieu, Luc Boltanski, Michel Crozier e John Wilfred Meyer.
NOTE BIBLIOGRAFICHE RIASSUNTIVE
- N. Abbagnano, Dizionario di Filosofia, UTET 1971.
- G. Agamben “Che cos’è un dispositivo?”, Nottetempo, 2006.
- A. Baccarin – P. V. Berardi, https://www.archeologiafilosofica.it/wp-content/uploads/2016/07/Che-cose%CC%80-un-dispositivo.pdf .
- L. Bazzicalupo, https://www.academia.edu/32074909/Governmentality_Practices_and_Concepts .
- P. Bourdieu, “Raison pratiques. Sur la thèorie de l’action”, Ĕdition du Seuil, Paris 1994.
- L. Boltanski, “Della critica. Compendio di sociologia dell’emancipazione”, Rosenberg & Sellier, 2014.
- R. Ciccarelli, “Riformulare la libertà politica, nell’analisi della governamentalità”, 2008.
- M. Crozier, E. Friedberg, “Attore sociale e sistema. Sociologia dell’azione organizzata”, Etas, 1978.
- M. Foucault, “Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (1977- 1978),” Feltrinelli, 2017.
- M. Foucault, “Sorvegliare e punire”, Einaudi, 2014.
- G. Giudici, https://gabriellagiudici.it/giorgio-agamben-che-cose-un-dispositivo/ .
- H. Hasselbladh, E. Bejerot, “Webs of Knowledge and Circuits of Communication: Constructing Rationalized Agency in Swedish Health Care”, 2002.
- J.W. Meyer, “World Society, Institutional Theories, and the Actor”, 2010.
- W.W. Powel, P.J. Di Maggio “Il neoistituzionalismo nell’analisi organizzativa”, Ed. Comunità, 2000.
- N. Rose, P. O’Malley, M. Valverde, “Governmentality”, 2009.
- N. Rose, P. Miller, “Political power beyond the State: problematics of government”, 2010.
- P. H. Thornton, W. Ocasio, “Institutional Logics”, 2008.
[1] Per un approfondimento sul concetto di campo V. “Raison pratiques. Sur la thèorie de l’action”, P. Bourdieu. Per un approfondimento sui campi organizzativi V. “Il neoistituzionalismo nell’analisi organizzativa”, W.W. Powel, P.J. Di Maggio.
[2] Da “organicismo, ossia facente parte di quella particolare dottrina filosofica, politica o sociologica che interpreti il mondo, la natura o la società in analogia ad un organismo vivente”, Nicola Abbagnano, Dizionario di Filosofia, UTET, 1971.
[3] Da “governamentalità” definita da Michel Foucault come “L’insieme di istituzioni, procedure, analisi e riflessioni, calcoli e tattiche che permettono di esercitare questa forma specifica e assai complessa di potere, che ha nella popolazione il bersaglio principale, nell’economia politica la forma privilegiata di sapere e nei dispositivi di sicurezza lo strumento tecnico essenziale. Secondo, per “governamentalità” intendo la tendenza, la linea di forza che, in tutto l’Occidente e da lungo tempo, continua ad affermare la preminenza di questo tipo di potere che chiamiamo “governo” su tutti gli altri – sovranità, disciplina –, col conseguente sviluppo, da un lato, di una serie di apparati specifici di governo, e, [dall’altro] di una serie di saperi. Infine, per “governamentalità” bisognerebbe intendere il processo, o piuttosto il risultato del processo, mediante il quale lo Stato di giustizia del Medioevo, divenuto Stato amministrativo nel corso del XV e XVI secolo, si è trovato gradualmente “governamentalizzato”, “Sicurezza territorio popolazione”, M. Foucault p. 88.
[4] In particolare gli esponenti dei cosiddetti Governamentaly studies. Tra i tanti è bene citare N. Rose, P. O’Malley, P. Miller e più recentemente H. Hasselbladh e E. Bejerot.
[5] V. in particolare: “World Society, Institutional Theories, and the Actor”, John W. Meyer.
[6] Definite come “i modelli socialmente costruiti di simboli e pratiche materiali, ipotesi, valori, credenze e regole con cui gli individui e le organizzazioni producono e riproducono la loro sussistenza materiale, organizzano il tempo e lo spazio e forniscono significato alla loro realtà sociale”, Thornton & Ocasio, 1999, p. 804.
[7] Non si può, a questo punto non citare il testo di riferimento più appropriato: “Sorvegliare e punire” di M. Foucault.