REFERENDUM SI – REFERENDUM NO – REFERENDUM BOH – REFERENDUM PRRRRRR

Sono e resto assai dubbioso nell’affrontare la questione del cosiddetto “referendum confermativo” del 4 dicembre, soprattutto dopo un lungo periodo di silenzio di questo blog. Il dubbio “principale” è legato al fastidio che provo nell’ascoltare perentori schieramenti a favore delle uniche due soluzioni previste, come se dal 5 dicembre ci fosse la possibilità di vedere il drastico calo della temperatura planetaria, qualche bambino africano in più farsi una sana e robusta colazione, qualche ragazza indiana evitare stupri razziali o parentali, qualche giovane, non “fortunato” trovare un lavoro che sviluppi gli studi intrapresi ecc. In questo periodo ho la sensazione che le tre parole: “SI”, “NO” ed “epocale” si sprechino in ogni dove, soprattutto lungo gli spazi di discussione di vecchia e nuova socialità. In effetti, l’evento si presenta con tutti i caratteri della storicità, specialmente per la lunga digestione con cui ci siamo dovuti cimentare e per i significati che ognuno sta attribuendo alla propria presa di posizione. Uno dei più evidenti paradossi è che, pur essendo posto come la classica scelta razionale attribuita al libero cittadino decisore, la discussione stenta a chiarire l’oggetto effettivo della contesa, tanto che affiorano quotidianamente nuove e diverse motivazioni della preferenza.  Capita spesso, infatti, che i contendenti, ma non solo, mostrando conseguenze secondarie, discutano di questioni esterne alle alternative referendarie, aumentando la caoticità della questione (V. il dibattito Landini – Renzi di domenica 20 novembre). La lontananza di questo evento dal classico modello liberista, che vede un attore scegliere razionalmente tra alternative in base a proprie inclinazioni od interessi, è riconosciuta dagli stessi contendenti la disputa, non ci ha risparmiato l’adozione dell’eufemismo manipolatorio che scambia un (pleb)iscito ossia: ogni diretta manifestazione di volontà del popolo (plebe, nota mia)riguardo a questioni relative alla struttura dello stato o alla sovranità territoriale (http://www.treccani.it/vocabolario/plebiscito/ ), per un referendum, vale a dire: l’istituto giuridico per il quale, in senso lato, è consentita o richiesta al corpo elettorale una decisione su singole questioni; (http://www.treccani.it/vocabolario/referendum/ ) Ora, al di là di questioni giuridico[1]/terminologiche, balza abbastanza evidente che la presente mobilitazione nasca, si sviluppi e rischi, fortunatamente, di rimanere  all’interno del campo politico/amministrativo e l’astensione, pur mostrando innumerevoli facce, non fa che sottolineare  la lontananza del quesito referendario dalle esigenze e competenze degli individui coinvolti. Sento già arrivare le voci che, nel dopo voto scopriranno che nel quotidiano di ognuno non sarà cambiato nulla, tranne il tema che i vari mass media proporranno nelle maratone televisive.

Se i referendum abrogativi hanno mostrato che l’interpretazione della volontà popolare è propria di chi sa sfruttare posizioni di potere reale (V. ad esempio il referendum sull’aborto e quello sull’acqua), ma hanno favorito lo sviluppo di movimenti di liberazione e contestazione (V. quelli sul divorzio e sulle centrali nucleari), temi come quello odierno porteranno solamente uno sterile dibattito all’interno del mondo politico, proprio perché al contrario dei primi non nascono da mobilitazioni di movimenti sociali. L’azione di difesa della legge sull’aborto, per quanto si sia dovuta misurare, nel corso degli anni con le reazioni legate al potere reale dei medici ginecologi e a quello normativo della Chiesa Cattolica, è da ricondurre alla vitalità di un movimento femminista che ha saputo porre una con-vincente questione sulla sessualità femminile. La mobilitazione sulla conferma o l’abrogazione della riforma Renzi non potrà che fornire ai vari gruppi politici l’opportunità di cooptare qualche nuovo adepto e di ricompattare quelli storici e manterrà per qualche tempo ancora i riflettori accesi all’interno di un campo sempre più sterilmente autoreferenziale. L’estrema complessità delle questioni sollevate oltre a rendere assai pesante e ingarbugliati i dibattiti (in gran parte di quelli che ho potuto visionare gli interlocutori stentavano a mettersi d’accordo sul tema da affrontare), rendono assai difficilmente leggibili le dinamiche in atto e i significati ad esse attribuibili. Si potrebbe pensare che lo scontro veda da una parte i fautori di un processo di ulteriore accelerazione della globalizzazione che, riducendo il potere d’interdizione di gruppi di politici locali, favorisca la semplificazione, la velocità di esecuzione e soprattutto un maggior controllo sulle misure che il governo deve adottare per mantenersi in sintonia con decisioni prese altrove. Dall’altra parte sembra facile ritrovare coloro che, in nome della riproposizione di idealità nazionalistiche, si oppongono a questo disegno sia perché esclusi da quelle dinamiche, sia semplicemente perché non sono i protagonisti principali, sia per il timore di veder disperso quel ruolo di autorevole arbitro di questioni riguardanti le faccende umane e sia perché convinti di poter cavalcare l’onda di riflusso che, riproponendo temi identitario/nazionalistici, e/o rispolverando bandiere neocomunitaristiche (vessillo, non di formazioni politiche genericamente conservatrici, ma di gruppi fondati da esponenti dell’estrema destra armata europea, coinvolti nelle più efferate stragi compiute tra gli anni Sessanta e Ottanta http://www.umanitanova.org/2016/02/07/comunitarismo-neofascista/) consente facili successi elettorali di fronte ad un elettorato attonito ed atterrito dalle prospettive future. L’evidente semplificazione in cui sono incorso, pur sottolineando la considerevole complessità della questione, non mi consente facili previsioni sugli andamenti futuri, ma mi permette di prendere in considerazione l’ipotesi di una tendenziale polarizzazione delle posizioni politiche. In questa particolare situazione sembra che gli attori principali si stiano orientando in modo da intercettare il malcontento per lo smantellamento di quello che negli anni passati costituiva lo stato sociale sia la preoccupazione per i forti cambiamenti nel rapporto con il lavoro, da un lato e quella parte di elettorato più integrato nel processo di globalizzazione, più in linea con gli orientamenti cosmopoliti che hanno permesso alla Clinton di  vincere nei grandi centri urbani delle due coste americane, ma che l’hanno fatta perdere nel resto del paese e alle complessive elezioni presidenziali. Tutto ciò non è che un’ulteriore semplificazione, ma anche un’ipotesi di lavoro per approfondimenti successivi, ed è per me un buon motivo per rafforzare due mie convinzioni: molto più che appurare la veridicità di tesi contrapposte è interessante osservare i comportamenti  dei vari attori nelle controversie (http://www.medialab.sciences-po.fr/publications/Venturini-Introduzione_Cartografia_Controversie.pdf) e che questa in particolare, pur coinvolgendo milioni di persone in qualità di agenti mobilitati, e pur essendo foriera di pesanti conseguenze per tutti noi, rimarrà solo all’interno di quel campo sedicente “politico” verso il quale io non nutro simpatie tali da farmi coinvolgere in nessun modo.

 

 

 

 

 

[1] In questa competizione plebiscitaria un ruolo importante, ma non decisivo lo hanno svolto un numero cospicuo di giuristi che, sentendosi attori privilegiati, si sono schierati nei due campi avversi. Per un esame complessivo del ruolo di costoro un ottimo punto di partenza è l’articolo: “I giuristi, custodi dell’ipocrisia collettiva” di  Pierre Bourdieu ( V.  http://www.kainos.it/numero9/disvelamenti/giuristicustodi.html )